Non c’è dubbio che la Garbatella, quartiere di Roma Sud dalla storia appena centenaria, sia un unicum urbanistico-architettonico che s’intreccia al tessuto di vita popolare dalla forte connotazione politica. Nei lotti dal caratteristico stile «barocchetto romano», celebrati dal cinema, le voci si rincorrono.
Sono le storie narrate di generazione in generazione, manipolate dalla memoria che affiorano in parte anche nell’immaginario dei lavori fotografici site-specific presentati da 10b Photography in occasione di Garbatella Images 2021, la manifestazione ideata e diretta da Francesco Zizola che per questa terza edizione, promossa da Roma Culture (vincitrice dell’Avviso Pubblico Contemporaneamente Roma curato dal Dipartimento attività culturali e realizzato in collaborazione con Siae), vede la curatela di Sara Alberani e Francesco Rombaldi di Yogurt Magazine.

AL CAPITOLO sulle «visioni» (fino a oggi) seguiranno «corpo» e «spazio», aspetti complementari nella riflessione sull’identità nel contesto specifico di questo quartiere, con la partecipazione dei suoi abitanti attraverso il rapporto consolidato fotografia/territorio. Quest’edizione, in particolare, è focalizzata sulle narrazioni «non lineari» di Mary Baldo, Luca Brunetti, Luigi Cecconi, Simone D’Angelo, Federica Leone, Linda Pezzano. «Le visioni come proiezioni dell’individuo, capacità di astrarre e creare» afferma Francesco Rombaldi introducendo il percorso espositivo che da10b Photography prosegue sugli stenditoi nei cortili dei lotti 24, 29, 30 e 55 (da via Giustino De Jacobis a piazza Nicola Longobardi), nella zona che si è sviluppata tra il 1920 e la metà degli anni ’30. Qui le immagini fotografiche stampate su pvc sono appese con le mollette ai fili dei panni, una formula adottata fin dalla prima edizione della rassegna in cui entra in gioco anche l’ambivalenza del concetto di confine.

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AL CENTRO DEI CORTILI, nello spazio di condivisione di una quotidianità che si ripete nel tempo, le fotografie – proprio come i panni – diventano esse stesse territorio di confronto esperienziale. L’intimità del vissuto travalica la singolarità della storia personale diventando patrimonio comune, soprattutto attraverso gli sguardi delle autrici più giovani Federica Leone (Roma 1994) e Linda Pezzano (Trani 1992). La prima con Lotto 21 conferma il carattere meditativo di uno stile che nasce come «costrizione».
L’appropriazione della libertà espressiva è dettata anche dall’esigenza di questo momento storico – la stanzialità causata dalla pandemia – in cui l’azione del guardare si ritrova a indugiare su dettagli ordinari in un ribaltamento gerarchico della visione che è contestualmente la celebrazione del «dimenticato».

UNA MEMORIA declinata tutta al femminile, poi, quella di Femina Mobilior Ventis in cui Linda Pezzano opera un doppio intervento, visuale e audio installativo, raccogliendo le testimonianze di Iole Borghi, Sara Pavoncello, Mirella Chessa e Elisabetta Girolami, donne del quartiere eredi delle «Sgarbatelle»: singole voci che nel sovrapporsi confluiscono nel caotico brusio della coscienza collettiva. «Ognuna di loro mi ha raccontato la propria storia. Storie molto forti, in cui si parla anche di resistenza, di ciò che hanno perso o subìto. Partendo da queste memorie è nata l’idea di ritrarle in maniera delicata. Non mi interessava renderle visibili ma che si percepisse l’astrazione di un passato che non c’è più», afferma l’autrice.
Ancora una vicenda privata, decontestualizzata e destrutturata, è quella narrata dalla francese Mary Baldo che in Boom attinge alla «mitologia familiare» di Giulia D’Angelo, un’altra abitante della Garbatella, sfogliando l’album che custodisce le sue fotografie dal 1940 agli anni ‘60.

IN QUESTA CONTINUA dialettica perfettamente bilanciata nella declinazione di universo intimo/sfera pubblica s’inseriscono, poi, i progetti dalle sfumature liriche e sognanti Wayfarer di Luca Brunetti (Roma 1990) e Concordia di Luigi Cecconi (Roma 1979). Se Brunetti allude a un viaggio onirico con scorci imprevedibili avvolti in una luce artificiale dalle tonalità rosso-arancio, Cecconi interpreta l’idea progettuale dell’importante snodo portuale sul Tevere, immaginando la Garbatella come un borgo marino in cui gli edifici «galleggiano» sulle acque lattiginose del tempo. Siamo distanti dalla fotografia documentaria anche quando la storia viene messa in scena da Simone D’Angelo (Anagni 1978) che in Lykanthropìa prende spunto da un paragrafo del folklore popolare di cui parla anche Gianni Rivolta nel suo vademecum Garbatella tra storia e leggenda. Chi sarà mai quella figura al margine che, come ricorda il curatore Rombaldi, «si aggirava la notte, si bagnava nelle fontane e soffriva di mal di luna»? D’Angelo chiede alla gente del posto. «Ognuno ha incastonato i ricordi all’interno di un periodo storico diverso, cosa che mi ha intrigato dandomi degli spunti per il mio lavoro». Il fotografo «s’immedesima» nel personaggio del lupo mannaro, girando al calar del sole per i lotti e orientando la sua ricerca estetica in un bianco e nero che cita il film L’uomo lupo (The Wolf Man), diretto nel 1941 da George Waggner.
Una sublimazione degli impulsi che suggerisce una lettura dell’immagine in cui il vero soggetto è la percezione stessa del lato oscuro del sé con cui ognuno è chiamato a convivere con quel corollario di paure che si porta dietro.