La Indelfab, ultima reincarnazione della vecchia Antonio Merloni, è stata dichiarata fallita dal tribunale di Ancona. La richiesta di concordato liquidatorio presentata dalla proprietà lo scorso 30 settembre è stata rigettata dalla giudice Giuliana Filippello che ha anche provveduto a nominare tre curatori fallimentari: Simona Romagnoli, Sabrina Salati e Luca Cortellucci. Per i 566 lavoratori degli stabilimenti marchigiani e umbri (294 a Fabriano e 272 a Gaifana, in provincia di Perugia) si apre così la procedura di mobilità che porterà al loro pressoché inevitabile licenziamento: la cassa integrazione scadrà il prossimo 15 maggio poi, al massimo, ci potrà essere una proroga di altri sei mesi, ma oltre non si potrà andare.

È finita: negli ultimi 12 anni, la Merloni (poi Jp Industries e adesso Indelfab) ha dovuto portare i libri contabili in tribunale per ben tre volte, riuscendo alla fine sempre a cavarsela con tagli non indifferenti al personale e piani industriali draconiani che tuttavia non sono mai riusciti a interrompere un trend negativo cominciato con la crisi del 2008 e mai davvero invertiti, malgrado i periodici roboanti proclami sul rilancio e sull’avvenire glorioso dell’azienda che fu leader mondiale nella produzione di bombole per Gpl.

«Per le lavoratrici e i lavoratori è una notizia disastrosa – dice Pierpaolo Pullini della segreteria della Fiom di Ancona -, nel momento in cui si stava cercando di costruire un percorso per il rilancio e la salvaguardia dell’occupazione. Anziché agire in maniera unilaterale, l’azienda avrebbe dovuto confrontarsi con i sindacati e condividere il percorso nell’interesse dei lavoratori. Dopo aver respinto il concordato ad inizio anno, anche questa nuova istanza della Indelfab è stata rigettata, a dimostrazione che le scelte fatte non erano quelle corrette».

L’evento che ha spalancato le porte al fallimento è avvenuto ad agosto, quando il padrone, Giovanni Porcarelli, dichiarò che era in atto «un irrigidimento bancario nell’erogazione dei fondi» legato a un vecchio contenzioso dell’azienda. Una dichiarazione di resa nel cuore del vecchio distretto industriale marchigiano, già in decadenza da diverso tempo: la zona industriale di Fabriano, da culla dell’industrializzazione all’italiana con piccole e medie imprese diffuse e ben piazzate sul mercato, adesso è un cimitero di sogni di gloria finiti in malora. Tanto per dare un’idea, all’apice del suo successo la Antonio Merloni poteva contare 5.000 dipendenti in dieci impianti produttivi, con diciannove filiali in Europa e due tra Usa e Australia, con un fatturato che arrivò quasi a 850 milioni di euro. Poi le cose hanno preso un’altra piega: nel 2008 venne fuori che l’azienda aveva accumulato debiti per 540 milioni di euro e si salvò soltanto grazie all’intervento del governo. Fino a non molti anni fa la famiglia Merloni poteva definirsi a buon diritto come la padrona della regione, mentre adesso le leve del potere vengono manovrate altrove.

Le prossime tappe della vicenda Indelfab sono incerte: la sottosegretaria allo Sviluppo Economico ha annunciato che il prossimo 10 dicembre si aprirà un tavolo al Mise, mentre per il 18 marzo prossimo è prevista al tribunale di Ancona l’udienza di fallimento.

All’orizzonte, per il momento, non si scorgono ipotesi rassicuranti, ovvero non si sa se esista qualcuno disposto a rilevare l’azienda per traghettarla verso nuovi e, auspicabilmente, più floridi lidi di quelli attraversati nell’ultimo decennio. «Se veramente esistono progetti o proposte – conclude Pullini – adesso è il momento di renderle esplicite».