Dopo una quarto di secolo di immersione nel fare cultura, tra scrittura, editoria e promozione, probabilmente oggi scoraggerei dei giovani interessati a inaugurare una nuova impresa editoriale. Ma mi rendo conto che la montagna da scalare è sempre stata altissima, che i problemi erano veri venti anni fa come dieci come lo saranno tra altrettanti anni. Dunque inutile scoraggiare. No, il mondo prosegue, la vita si rinnova.

UNA NUOVA FACTORY si chiama Wetlands, nasce a Venezia e si presenta così: «Wetlands è un progetto editoriale dedicato ai temi della sostenibilità sociale e ambientale e alle sfide dell’Antropocene. La proposta editoriale si muove nei territori di intersezione tra fiction e non-fiction, promuovendo testi che toccano temi di carattere ambientale, urbanistico, sociale, antropologico e culturale. La città di Venezia, metafora di problematiche e soluzioni di valenza globale, è al centro della progettualità di Wetlands, che intreccia prospettive internazionali con idee generate in città, grandi autori e nuove firme, narrazione e ricerca».

NEL MIO MODESTO EREMO sono giunti tre dei loro primi titoli: Ultime isole di Paolo Barbaro, L’arcipelago delle api di Chiara Spadaro e una collettanea di interventi dal titolo Venezia e l’Antropocene, a cura di Cristina Baldacci, Shaul Bassi, Lucio De Capitani e Pietro Daniel Omodeo. Ultime isole è ripescaggio di un collage di impressioni e racconti di Paolo Barbaro (1922-2004), introduzione appassionata e ragionata di Tiziano Scarpa.

COSTANTI TRASFORMAZIONI, il gioco della luce, il richiamo delle acque, i passi, i volti, gli affreschi, le pietre, i fantasmi e le gondole, insomma una Venezia frastornante tutta da riscoprire per un classico forse dimenticato troppo in fretta. Ovviamente ritorno con la mente al periodo in cui vissi a Venezia. Amavo fermarmi a vedere le vetrine, e ora mi sovviene di uno dei tomi che sfogliai: mostrava il cambiamento in cento anni dei pesci presenti in Laguna a seguito della realizzazione della ferrovia quel tratto lungo che unisce Mestre e Santa Lucia. A quel tempo parole come Antropocene o cambiamento climatico riposavano in bocca a pochi scienziati e studiosi.

LE STAGIONI ANCORA sembravano graniticamente definite, nonostante occasionali variazioni, e noi tutti si viveva invero più preoccupati per l’evoluzione politica domestica, erano anni del Berlusconismo… Quel mondo è scomparso, pare, e noi siamo dentro un’altra epoca. Per questo libri come Venezia e L’Altropocene e L’arcipelago delle api sono utili per farci un’idea concreta dei cambiamenti.

SEPPUR NEL LIMITE della raccolta di testi di matrice accademica, le finestrelle aperte nel saggio Venezia e L’Antropocene ci mostrano tanti piccoli casi unici, dalle calli al porto di Marghera, dal giardino perduto del Vecellio alle architetture, dalla cucina ai flussi migratori, dal Ghetto ebraico a Dorsoduro, dai suoni al campanile di San Marco al Centro Maree. Forse mancano di profondità, molto veloci, quasi cartoline, ma il ritratto che se ne trae è vivissimo.

PERO’, GUSTO DEL TUTTO personale, la vera sorpresa è L’arcipelago delle api di Chiara Spadaro, studiosa e giornalista che si è messa a setacciare la geografia della Laguna per incontrare le voci dei produttori di miele e capire che cosa stia accadendo alle nostre api. L’ape può diventare il metro per intendere quel che sta accadendo al mondo. Venezia d’altro canto non è una città di alberi, sebbene i giardini «segreti» non manchino, i prati mancano, se ne possono vedere soltanto andando oltre, in direzione del «continente» o sulle isole meno note e che compongono la Laguna fuori Venezia. Si parte dalla scoperta di cosa sia una barena, ovvero quelle isolette basse che si notano soltanto a bassa marea, la cui superficie si è ridotta proprio a causa dell’innalzamento delle acque. Come la produzione di vetro, il miele detto di barena è in netta diminuzione. Ma si scopre l’esistenza anche di una apicultura urbana, l’Honey Garden di Murano e la pratica di una sorta di «apicultura gentile», di cui taccio, invitando ad approfondirne la lettura.