Tarantelle, pizziche e serenate che talvolta trascinano nell’atmosfera sonora del fado: l’ensemble Lingatere, nel disco d’esordio intitolato Ziccateballa, decide non soltanto di reinterpretare brani della tradizione popolare pugliese, ma di raggiungere una musica d’autore seguendo il sentiero tracciato dalle antiche sonorità. Del resto, il nome scelto dai musicisti Lingatere, (parola che nel neretino antico si usava per indicare le ragnatele), echeggia per assonanza e significato spazi sospesi, inventati forse per necessità e per amore della bellezza. I Lingatere nascono sul finire degli anni Novanta, in un periodo di grande fervore per la scena musicale etnica e popolare in Puglia.
L’ incontro con Eugenio Bennato, poi direttore artistico dell’ensemble, sarà motivo di crescita artistica per i giovanissimi musicisti; la «biografia di una passione», si sottende, invece, tra le parole di Marianna Pantaleo, cantante, ma non leader di un gruppo che si muove quasi come se fosse un collettivo artistico in cui sia i testi, sia gli arrangiamenti che completano il disco Ziccateballa vengono pensati e portati alla luce da tutti. I Lingatere, inoltre, vantano un’interessante e poetica interpretazione del loro brano Serenata De Lu Franciddu, presente nel disco Barcarola, di Aronne dell’Oro.

Nel progetto Ziccateballa si sente l’esigenza di riproporre brani della tradizione popolare pugliese, anche se completamente riarrangiati…

I brani della tradizione pugliese, autentici negli arrangiamenti e nei cantati, risultano per definizione non imitabili; l’esigenza avvertita è stata quella di arricchire i brani tradizionali, pur conservandone la linea melodica con sonorità pensate quasi sempre in modo estemporaneo.

Fa parte della vostra ricerca artistica anche la lingua utilizzata nei brani interamente composti dal vostro ensemble…

Si… la lingua prevalente sembra essere il grottagliese, anche se c’è un brano scritto in laertino (dialetto di Laterza) ed un brano scritto in ostunese (dialetto di Ostuni), ma nello specifico avviene quasi una sorta di fusione delle lingue utilizzate…

E non trascurando il suono delle parole nel contesto musicale…

Si può dire che abbiamo adattato quasi chirurgicamente le parole al linguaggio armonico, spesso riducendo le strofe quasi sempre nate in tracotanza di parole e cacofonie, come spesso è avvenuto nel momento in cui rendevamo il testo in musica.

Il brano tradizionale «lu sule calau calau», è arrangiato, invece, come un calypso…

Il brano lu sule calau calau parla di schiavi, di padroni e di ribellione; cantando quelle parole ed imbracciando la chitarra mi è venuta in mente un’immagine fatta di sole, fatica, piantagioni di tabacco. La sequenza di accordi e la sua modalità di esecuzione, però, sono nate del tutto spontaneamente e non sapendo di eseguire un calypso. Se penso che la musica calypso fu spesso censurata a causa del suo contenuto di forte protesta e che denunciava le tragiche condizioni di lavoro, mi stupisco e dico che parole e musica, evidentemente, viaggiano su binari di una meravigliosa combinazione istintiva.

Per un ensemble che ripropone, seppure in nuova veste, brani legati alla tradizione popolare pugliese, resta fondamentale e ancora attuale l’approccio alla ricerca sul campo di De Martino…

Penso che gli ultimi echi di un mondo rurale contadino, ormai, quasi completamente scomparso, vadano raccolti in maniera scientifica e non approssimativa. La ricerca è importante e necessaria, ma in un percorso artistico di riproposta in cui chi elabora o compone non deve continuamente coincidere con chi si occupa di ricerca. Io ritengo, però, che il tarantismo sia molto reale e lo è ancor più la chiave interpretativa e antropologica del fenomeno.