Il 28 marzo uno dei più celebri oppositori del regime azero è stato liberato. Si tratta di Intigam Aliyev, che in comune con il padre e padrone del paese ha soltanto il cognome: un caso di omonimia. Unanime il plauso delle istituzioni europee, e anche di Federica Mogherini, che nel suo recente viaggio a Baku si era però ben guardata dal sollevare la questione dei prigionieri politici.

Grande la soddisfazione delle organizzazioni umanitarie e della società civile. Anche perché lo scorso 17 marzo, il presidente dell’Azerbaijan Aliyev ha firmato un decreto di amnistia per 148 prigionieri. Fra loro, anche 14 persone considerate prigionieri politici dalle principali organizzazioni umanitarie. Il provvedimento ha avuto luogo in occasione del Nowruz, il capodanno zoroastriano, festa molto sentita in Azerbaijan, in Iran, dai curdi e in parte del mondo turco. Il loro immediato rilascio ha permesso ai giornalisti e agli attivisti liberati – in molti casi giovanissimi – di riabbracciare le loro famiglie.

Ma non è tutto oro quel che luccica. I commentatori più smaliziati – come la giornalista azera in esilio Arzu Geybullayeva – hanno parlato dei prigionieri come di giocattoli in mano al regime. O, se preferite, semplici carte da gioco, parte di un cinico azzardo che si trascina da tempo. Non sarà un caso, allora, che il rilascio dei prigionieri sia avvenuto proprio alla vigilia del viaggio americano di Ilham Aliyev, succeduto alla presidenza al posto del padre nel 2003. Ospite del Nuclear Industry Summit, che si tiene a Washington fra il 30 marzo e il 1 aprile, il presidente di questo paese ricco di petrolio e di gas ha voluto tirarsi a lustro per far vedere al mondo la faccia migliore del suo regime. Cosa più che mai necessaria, in questo momento, data la pessima congiuntura. Lontani i tempi del boom del 2003-2012, quando il Pil azero – prima della crisi attuale – cresceva con una media del 13,5% l’anno.

L’abbassamento del prezzo del petrolio ha avuto effetti devastanti sull’econonomia locale, in particolare fra la fine dell’anno scorso e l’inzio di quest’ultimo, portando il paese sull’orlo del collasso. Ora più che mai la dinastia degli Aliyev – al potere nel paese dal lontano 1969 – sembra avere paura. Ed è facile ipotizzare, allora, che si tratti solo di un bluff, di un’operazione di facciata. Perché fra l’altro – a fronte dei 15 rilasci – nelle carceri di Baku si trovano ancora un’ottantina di prigionieri politici, e non c’è fine agli abusi commessi quotidianamente contro giornalisti, scrittori e attivisti.

Proprio di ieri è la notizia che allo scrittore Akram Aylisli, candidato al Nobel per la pace, è stato impedito di uscire dal paese e venire in Italia a presentare il suo romanzo, Sogni di Pietra, edito da Guerini e Associati. L’anziano autore è stato trattenuto a lungo dalla polizia all’aeroporto di Baku e rilasciato dopo 12 ore. E questo proprio mentre il presidente azero incontrava John Kerry negli Usa. Secondo la comunicazione ufficiale diramata dal Ministero degli Interni di Baku, si tratterebbe di una conseguenza di un non meglio precisato «scontro» che lo scrittore avrebbe avuto con la polizia aeroportuale. Cosa piuttosto curiosa, se pensiamo al fatto che il romanziere ha 78 anni suonati.

Oggi Aylisli avrebbe dovuto prendere parte, a Venezia, al festival Incontri di civiltà. Il figlio, che l’accompagnava, si è detto choccato per l’accaduto. Già in passato l’autore aveva subito gravi attacchi, roghi pubblici dei suoi libri e persino una taglia di circa 10.000 euro messa a disposizione da un politico locale per chi avesse voluto mozzargli un orecchio. In quel mondo alla rovescia che è l’Azerbaijan, anche questo è possibile.