Di fronte alla richiesta di 590mila cittadini di andare a votare per depenalizzare la cannabis c’è un ostacolo che rischia di far saltare tutto: la burocrazia italiana. Per sottoporre il referendum a Cassazione e Corte costituzionale, infatti, non basta avere nome e cognome di chi ha sottoscritto il quesito, servono anche i certificati elettorali che i comuni sono obbligati a rilasciare entro 48 ore dalla richiesta.

«DOPO TRE GIORNI ne mancano ancora più del 75%», denuncia il comitato promotore, che ieri ha tenuto un presidio-conferenza stampa in via Arenula, vicino al ministero della Giustizia. I numeri esatti sono: 545.394 certificati digitali già richiesti ai comuni con 37.300 mail ufficiali (ogni Pec contiene da 2 a 20 nominativi); 28.600 Pec ricevute in risposta con allegati soltanto 126.576 certificati. Troppo pochi. Per chiedere l’indizione del referendum ne servono mezzo milione e la scadenza del 30 settembre è sempre più vicina.

«L’inadempienza è dei comuni, non nostra», afferma Riccardo Magi (+Europa). Il deputato aveva già chiesto al governo nelle scorse settimane di far slittare il termine della consegna al 31 ottobre. Cioè la data decisa per tutti gli altri referendum in campo (caccia, giustizia, eutanasia), a eccezione di quello sul green pass di cui dopo l’annuncio iniziale non si è saputo più nulla. La proroga è stata concessa prima per i quesiti depositati entro il 15 maggio, poi entro il 15 giugno, ma quando la stessa esigenza si è manifestata per la cannabis, presentato il 7 settembre, gli stessi partiti che avevano approvato le precedenti estensioni hanno fatto spallucce.

«IN PRATICA chi ha iniziato la raccolta prima può consegnare dopo. Un paradosso che segnala una chiara illegalità rispetto al processo democratico del referendum», ha affermato Franco Corleone, ex senatore e sottosegretario alla giustizia tra il 1996 e il 2001, oggi parte del comitato promotore.

Le associazioni e i partiti che sostengono la depenalizzazione sono diventati ormai 60 e insieme fanno appello alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, al governo e al presidente della Repubblica Mattarella per mettere fine alla «discriminazione politica» che questa proposta referendaria subisce rispetto alle altre. Del resto sui comuni esiste un sovraccarico oggettivo dettato dalle particolari condizioni dovute alla pandemia, ma anche dall’arrivo delle elezioni amministrative e dalla concomitanza di diverse richieste referendarie. Per quella sull’eutanasia i tempi medi di risposta si attestano sulle due settimane, ma lì i promotori sono più tranquilli perché, appunto, possono consegnare firme e certificati fino al 31 ottobre.

«SENZA LA PROROGA partiranno esposti e azioni legali», annuncia Antonella Soldo (Meglio Legale). Parallelamente è in corso una trattativa con la Cassazione per concordare la possibilità di consegnare prima le firme e poi i certificati.

Senza una decisione politica, però, tutto resta appeso a un filo e la volontà espressa da oltre mezzo milione di italiani potrebbe finire impantanata tra le carte accumulate sui tavoli degli uffici comunali o, in questo caso, tra le mail in coda nelle caselle di posta elettronica istituzionali. Un «sabotaggio» secondo gli organizzatori della campagna.

DOPO LA CONFERENZA stampa hanno alzato la voce anche alcuni esponenti politici di partiti non coinvolti direttamente. «Il governo deve risolvere al più presto il problema», sostiene Vittoria Baldino (5S). Per Stefano Ceccanti (Pd) «bisogna tutelare i diritti dei cittadini che usufruendo dello Spid hanno regolarmente firmato per il referendum cannabis». Elio Vito (Forza Italia) ha invitato i comuni «a mandare tempestivamente i certificati» facendo presente di aver interessato il Viminale della vicenda.