Vada per Formigoni, Capezzone, La Russa, ma Nitto Palma no. Nel voto segreto in commissione giustizia al senato il patto Pdl-Pd non regge e il candidato berlusconiano buca due votazioni. I commissari Pd rifiutano di mangiare la pappa pronta, certo non buona, eppure compresa in un menu tutto pessimo trangugiato senza capricci. Oggi il Pdl servirà di nuovo agli alleati il boccone dell’ex ministro della giustizia: un prendere o lasciare dove a lasciare nelle minacce della vigilia dovrebbe essere il governo. Ma un compromesso è possibile.

Anche perché, mettendo da parte la materia incandescente della giustizia, il quadro generale delle nomine nelle commissioni restituisce la fotografia di una maggioranza solida, in grado di blindare l’intesa a due e lasciare a Scelta civica i canonici due posti di consolazione: gli esteri a Casini (al solito prende il meglio) e gli affari sociali per Vargiu, radiologo sardo già berlusconiano. Ma quando si tratta di dividersi gli incarichi i patti hanno assai scarso contenuto politico, dunque la prova è rimandata (a oggi). Intanto il Pdl scarica nella partita l’intera sua batteria di eccellenti, titolari di un non scritto diritto al risarcimento. Pagabile col prestigio del ruolo, certo, ma anche con i benefit che una presidenza di commissione garantisce: segreteria più ampia, locali adeguati, autista e a fine mese indennità aggiuntiva – alla quale da subito due presidenti del Pd hanno detto di voler rinunciare (Ermete Realacci, ambiente alla camera e Andrea Marcucci, pubblica istruzione al senato) e così faranno tutti gli eletti del Movimento 5 stelle.
A guidare la pattuglia dei ricollocati di destra, Ignazio La Russa. Formalmente un oppositore, sostanzialmente paracadutato nel delicato ruolo di presidente della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio da una manovra del Pdl appoggiata senza traumi dal Pd. Poi Fabrizio Cicchitto, già capogruppo alla camera prima di lasciare il posto a Brunetta. Cicchitto guadagna gli esteri malgrado non abbia fama di diplomatico, al contrario nei dossier internazionali appare spesso come un neocon in ritardo, esalta l’«interventismo democratico» contro l’«islamofascismo». La sua nomina segna la totale rinuncia del Pd a un ruolo di guida in politica estera, visto che alla Farnesina c’è Bonino e alla commissione del senato Casini. Dopo Cicchitto Elio Vito, ministro nell’ultimo governo Berlusconi ripescato al vertice della commissione difesa. Straordinaria la nomina di Giancarlo Galan alla guida della cultura di Montecitorio. Galan è stato ministro dei beni culturali e in quel periodo prese come collaboratore speciale Massimo De Caro, signore poi condannato a sette anni per peculato per la sottrazione dalla biblioteca dei Girolamini di Napoli di un centinaio di preziosi volumi antichi, finiti al bibliomane Dell’Utri. Sotto Galan De Caro fu nominato direttore di quella biblioteca, secondo i giudici di Napoli «ad onta di ogni regola e grazie all’influenza politica correlata all’incarico fiduciario di consigliere dell’ex ministro». «La sua nomina mi fu sollecitata da Dell’Utri», ha candidamente ammesso Galan.

Tra i recuperati del Pdl anche l’ex ministro Altero Matteoli, ex An rimasto nel Pdl che torna a occuparsi di trasporti (al senato) e soprattutto di comunicazioni: un’eventuale e improbabile regolamentazione delle frequenze dovrebbe passare da lui. A completare la second life del governo Berlusconi, ecco Maurizio Sacconi ex ministro del lavoro e neo presidente dell’omonima commissione al senato. Non resterà un senatore qualsiasi neanche Roberto Formigoni, che pure avrebbe potuto preferire nascondersi: si dà invece alla agricoltura. Più prestigioso il premio toccato a Daniele Capezzone: la commissione finanze della camera, giusta ricompensa dopo cinque anni di comunicati stampa quotidiani contro le tasse. Crudele fino all’ultimo, il Pdl ha preteso il sì del Pd per Giuseppe Marinello, senatore destinato all’ambiente sull’onda di una provata militanza pro Ogm e un costante impegno per i campi da golf in Sicilia.

Per il Pd meno posti al senato – proprio lì dove il gioco si può fare duro -, ma tre caselle importanti. Prima fra tutte la commissione affari costituzionali dove stazioneranno un bel po’ le riforme: a guidare il traffico ci sarà Anna Finocchiaro. Nicola Latorre alla difesa sarà l’ultimo avamposto Pd nei territori della diplomazia, mentre Massimo Mucchetti farà sfoggio di competenze nell’industria. Una coppia di ex Cgil, Guglielmo Epifani e Cesare Damiano, si occuperà di attività produttive e lavoro alla camera e viene dalla magistratura Donatella Ferranti, destinata alla giustizia. Per coprire le altre caselle democratiche prevale l’appartenenza correntizia, tanto che la franceschiniana De Biasi si ritrova alla sanità pur essendo un’esperta di scuola (ma in quel posto c’era già il renziano Marcucci).
Per i cinque stelle solo una presidenza, la giunta per le elezioni con il trentenne Giuseppe D’Ambrosio, ma 12 vicepresidenti e 14 segretari: nulla hanno voluto lasciare alle altre opposizioni. Tanto che Sel protesta, parlando di «poltronismo» grillino e reclamando da subito la guida del Copasir. Ma Grillo non molla e ai servizi vuole traslocare Crimi e contemporaneamente alla vigilanza promuovere Fico. Nell’ansia di prendere tutto i 5 stelle perfino collocano il deputato Artini su due poltrone, vicepresidente e segretario della commissione difesa. Non si può.