Due ragioni fondative ispirano le drammatiche riflessioni con cui Luigi Ferrajoli torna a riproporre in un volume più ampio la sua nota proposta di costituzione universale (Per una costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, pp 197, euro 20). La prima nasce da una conclamata insufficienza della tradizione giuridica occidentale, quella del costituzionalismo, vale a dire la concertazione normativa realizzata dagli stati nazionali moderni, grazie a cui la vita dei cittadini è stata sottratta all’arbitrio del potere sovrano e regolata secondo principi universali di diritti e doveri.

FERRAJOLI NON HA DUBBI sul fatto che le costituzioni nazionali siano oggi configurazioni giuridiche impotenti di fronte alla ormai piena unificazione del mondo e ai problemi inediti e gravi che questa pone. L’altra riguarda la presa d’atto, appunto, dello scenario gravido di pericoli mortali che l’attuale assetto internazionale, fondato su stati divisi e in competizione, squaderna davanti a noi.
È «inverosimile – scrive Ferrajoli – in mancanza di limiti e vincoli istituzionali, che quasi 8 miliardi di persone, 196 Stati sovrani, 10 dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile, possano a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, fino alla sua inabitabilità, alle guerre endemiche senza vincitori, alla crescita delle disuguaglianze e della povertà».
Si tratta di una previsione per nulla allarmistica e agitatoria, e che ha trovato una paradossale e inquietante conferma in questi due anni di pandemia. Un biennio che ha mostrato gli effetti rovinosi di una economia interamente affidata al mercato, generatrice di danni ambientali sempre più estesi, di disuguaglianze e povertà, di scelte che hanno indebolito la sanità pubblica, lasciandola sguarnita di fronte all’emergenza sanitaria.

EBBENE, NONOSTANTE la diffusione del Covid 19 abbia mietuto nel mondo milioni di vittime e oggi appare tutt’altro che contenuta o indebolita, «non è stato fatto nulla» per prevenirla, né di strutturale per scongiurarne repliche nei prossimi anni. Moltissimo, invece, si è fatto e si continua a fare per i conflitti futuri: «In previsione delle guerre si accumulano armi, carri armati e missili nucleari, si fanno esercitazioni militari, si costruiscono bunker, si mettono in atto simulazioni di attacchi e tecniche di difesa». Com’è noto ai lettori del manifesto – uno dei pochi giornali che ne ha dato ampiamente conto – nel 2020 la spesa in armamenti, da parte degli stati più importanti del mondo, è stata raddoppiata.

MENTRE LO STATO PRESENTE della popolazione mondiale richiederebbe pace, cura della natura ferita, nuove economie di rigenerazione delle risorse, redistribuzione dei redditi, limitazione dell’inquinamento, contenimento della diffusione dei gas climalteranti, quasi tutte le nazioni si muovono come eserciti nemici.
Ai processi di interdipendenza sempre più stretta degli Stati, indotti dalla globalizzazione «ha fatto riscontro, in questi anni, anziché una più complessa articolazione istituzionale della sfera pubblica attraverso la creazione di funzioni globali di governo e di garanzia, una sua semplificazione: da un lato, la verticalizzazione e la personalizzazione dei poteri di governo in capo a leader o a ristrette oligarchie, che li rendono esposti alle pressioni dell’economia; dall’altro, lo sviluppo incontrollato del libero mercato, la crescente concentrazione e confusione tra poteri politici e poteri economici e la sostanziale subordinazione liberista dei primi ai secondi».
Alla luce di queste analisi, qui ridotte all’essenziale, selezionate da una densa massa di lucide e appassionate argomentazioni, Luigi Ferrajoli, eminente giurista, in perfetta solitudine, ha l’ardire intellettuale e politico di proporre una Costituzione della Terra. La presenta non nel senso che ne auspica la realizzazione, ma letteralmente la scrive, e la colloca in appendice al presente libro, in forma di Progetto, compiutamente definito, con i suoi 100 articoli.

SI TRATTA DI UNO SFORZO teorico di prima grandezza, che ripete, in condizioni mutate, un superbo e generoso gesto intellettuale della prima modernità: quello con cui Immanuel Kant, come ricorda l’autore, con il testo Per la pace perpetua perorava, nel 1795, «una costituzione civile» quale fondamento di «una federazione di popoli» estesa a tutta la terra. Ispirandosi a quel momento altissimo della civiltà europea, Ferrajoli tuttavia mostra con dovizia analitica oltre alla necessità, i vantaggi molteplici di una tale Costituzione.
Tra questi non possiamo dimenticare la possibilità di imporre limiti e vincoli ai poteri imprenditoriali, ponendo fine alla concorrenza al ribasso tra i lavoratori dei paesi ricchi e quelli privi di tutele «sulla base di un modello unitario e globale di diritti e garanzie del lavoro». Una conquista che porrebbe fine all’attuale asimmetria drammatica tra capitale e lavoro, che impedisce il conflitto, motore del progresso sociale, e costituisce forse la ragione ultima e fondativa delle disuguaglianze che lacerano il mondo e svuotano la democrazia.