Si capisce finalmente che cos’è un simbolo a leggere Roma. Piccola storia simbolica di Franciscu Sedda e Paolo Sorrentino (La Lepre, pp. 180, euro 16). L’obiettivo è arduo: mostrare l’identità di Roma, la sua essenza odierna e come è mutata nel tempo. E Roma, che sfugge a qualsiasi discorso astratto su se stessa perché troppo carica di storia, in successione e simultanea, diventa qui più trasparente.

PARLANO PER LEI i confini che l’hanno delimitata – dai solchi di Romolo e Remo al Sacro Gra (Gianfranco Rosi), il Grande raccordo anulare con la vita che vi si sviluppa sopra e sotto – e i nomi ricevuti, che sono altrettanti confini ma tracciati sul terreno della sua memoria: caput mundi, la Lupa, Spqr, città eterna, Comune di Roma, Roma capitale, la Grande bellezza.
Il racconto di come Roma si è autodescritta attraverso questi appellativi, loghi e diagrammi, aiuta non solo a conoscere meglio le idee che ha voluto incarnare, fra loro in dialogo, in conflitto o in sovrapposizione, ma a formulare auspici sulle trasformazioni della città e della sua cittadinanza.

PER QUANTO STEREOTIPO collettivo prima del dominio militare sullo spazio – caput mundi – poi del dominio spirituale sul tempo – «città eterna» – Roma infatti cambia. Se il fascismo ha esaltato pro domo sua i luoghi topici di questi poteri – il Colosseo da via dei Fori imperiali; piazza san Pietro da via della Conciliazione – e il cinema li ha sostituiti con il solo potere estetico, cioè con l’immagine di una Grande bellezza (Paolo Sorrentino), non mancano tentativi di riscoperta e innovazione: il fregio di William Kentridge sul Tevere, arteria un tempo principale nel vissuto cittadino e oggi abbandonata; il Maxxi di Zaha Hadid, gli interventi di Guerrilla Gardening; il Mercato centrale della Stazione Termini… Ma la città è anche cambiata drammaticamente nel 2009, quando si è voluto tradurne l’ideale augusteo di caput orbis terrarum (Tito Livio) nella dicitura «Roma capitale». E, a causa delle coeve inchieste sul malaffare, la realtà di «mafia capitale» ha preso il sopravvento sul programma di essere a testa di uno Stato e di inglobare altri Stati, il Vaticano.

UN CAPITOLO DEL LIBRO è sullo stemma Spqr, Senatus Populusque Romanus, segno dell’ente di governo di Roma, il Senato, e impresso nel corpo della città dall’arco di Tito ai tombini delle fogne. Ha la forma di uno scudo, in ricordo dell’antico vessillo dell’esercito, e presenta sopra una corona di cinque fioroni e al centro una piccola croce cristiana e il grande nome latino Spqr.
Risale al basso Medioevo, periodo ingiustamente negletto della storia cittadina, e come il coevo Palazzo Senatorio sul Campidoglio, che volta le spalle a san Giovanni in Laterano, allora sede dei papi, tentava di rovesciare le gerarchie fra la Chiesa e il Senato. Mussolini fece inserire nello stemma il «capo del littorio», sopra la scritta Spqr, subordinando così il Senato al fascismo. Simboli: condensati espressivi di idee e ideali che, a forza di circolare, attecchiscono.

MA CI VOGLIONO LE IDEE. Roma è stata caput mundi anzitutto perché società civile progressista agguerrita di argomenti e progetti. A confronto con Spqr, «Ama Roma», la nuova immagine coordinata dell’ente amministrativo, tradisce, con la sua indeterminatezza interna, la debolezza programmatica e politica della città oggi, in lento declino.
I due semiologi cercano nel presente presagi di un futuro diverso. Li rintracciano nella figura di papa Francesco, «vescovo di Roma», che in continuità con l’imperatore Claudio fa dell’apertura il tratto tradizionale della romanità e mette Roma «a capo dei poveri del mondo».

IL MITO VINCENTE non è quello della purezza della stirpe, che va da Augusto, avo di Claudio, fino al delirio mussoliniano, ma del miscuglio etnico ben gestito. Dubai è composta per l’80% di residenti stranieri, expat (occidentali) e the others, trattati duramente, emarginati e ignorati, ma si autodescrive come una terra promessa e dalle opportunità uniche; Roma, che invece ha un numero minore di immigrati ed è molto più fluida dal punto di vista sociale, racconta se stessa come un luogo insicuro e in cui l’altro è una presenza minacciosa.

OCCORRE RECUPERARE il valore di una città fondata da stranieri per stranieri – Enea che sbarca dell’Asia Minore, crogiolo di anatolici, ellenici, balcanici, mediorientali; il tempio dedicato da Romolo e Remo al dio Asilo, rifugio per i fuggitivi; la fossa chiamata mundus in cui gli abitanti deponevano zolle delle terre d’origine. Roma ritroverà la sua grandezza se tornerà a saper ospitare – hospes (l’«ospite») e hostis (il «nemico» perché forestiero) hanno la stessa radice (Benveniste) – cioè se sarà esempio di riscatto della dignità dell’uomo.