Le regole di bilancio Ue sono state sospese, per la pandemia, fino al dicembre del 2022. La discussione sulla loro riscrittura è in atto. E’ essenziale che proceda spedita. E’ essenziale che esprima ipotesi, o meglio tesi, tanto chiare quanto argomentate.
Vi è un profilo giuridico, vi è un profilo economico. Sul piano giuridico l’assetto istituzionale europeo prevede per la modifica dei Trattati sia procedure ordinarie (unanimità, ratifiche nazionali) sia procedure semplificate (in particolare non richiedenti le ratifiche dei parlamenti nazionali). Queste ultime sono in varia misura applicabili alle diverse regole di bilancio. Ma su tale applicabilità l’interpretazione delle norme procedurali previste non è unanime. Il vantaggio delle procedure semplificate è evidente – fattibilità, rapidità – ma lo è anche lo svantaggio, nel rendere meno solenne, meno plastica, meno influente su comportamenti e aspettative la modificazione delle regole.

Sul piano economico le regole riguardano tre aspetti: a) riduzione del debito in essere; b) limiti all’indebitamento netto; c) eguale valutazione della spesa pubblica corrente e di quella in conto capitale. Su questi tre aspetti, sulla scia dell’ultimo Keynes (J.M. Keynes, Activities 1940-1946. Shaping the Post-War World; Employment and Commodities), le linee di politica di bilancio che converrebbero si discostano notevolmente da quelle che nel ventennio pre-pandemia hanno limitato all’1% circa la crescita annua della domanda interna e del prodotto lordo nell’economia europea, Germania compresa: a) Il rapporto debito/Pil e il suo potenziale di instabilità vanno ridotti. Ma devono essere ridotti con una velocità inferiore a quella stabilita dopo il regolamento 1177 del Six Pack del 2011 (taglio di 1/20esimo all’anno della eccedenza del debito in essere rispetto al 60% del Pil pensato a Maastricht). Un vincolo siffatto appare ancora più stringente di quanto già non fosse dieci anni fa alla luce della esplosione dei debiti provocata dalla crisi pandemica: al 200% del Pil e oltre in Grecia, al 160% in Italia, 140% in Portogallo, 120% in Spagna e Francia, 100% nella media europea). Conta la tendenza: una riduzione di 1/50esimo basterebbe.

b) Il vincolo di bilancio va concentrato sulle uscite e sulle entrate di parte corrente. E’ essenziale evitare un eccesso delle prime sulle seconde: il risparmio negativo delle PA limiterebbe l’accumulazione di capitale e potrebbe risolversi in inflazione da domanda. Le regole nuove dovrebbero imporre il pareggio della parte corrente del bilancio, ammettendo solo disavanzi contenuti (1 o 2 per cento del Pil) nelle recessioni più gravi.
c) Gli investimenti fissi delle PA vanno sciolti da ogni vincolo. Ciò per il loro potente moltiplicatore della domanda effettiva, quando questo è necessario; per il loro sempre prezioso apporto alla produttività, e quindi alla crescita, del sistema; per la loro capacità di autofinanziarsi, di non generare debito pubblico al di là del breve periodo.

Vanno rispettate due condizioni. La prima condizione è che l’investimento venga definito con assoluta precisione contabile, onde evitare che si spaccino per investimenti spese di parte corrente. La seconda condizione è che la Banca Centrale Europea adempia l’impegno solennemente assunto, di evitare che l’inflazione superi una determinata soglia (oggi stabilita nel 2% l’anno). Ha drammaticamente inciso sulla crescita europea il fatto che gli investimenti pubblici siano stati nell’ultimo ventennio tagliati, finanche nella sanità! In diversi casi lo sono stati fino a dimezzarsi in termini lordi, tanto da incidere sull’investimento netto e quindi sullo stock del capitale pubblico, mancando non solo di rafforzare ma persino di manutenere le infrastrutture esistenti.
Per queste vie il rigore doveroso nelle pubbliche finanze è conciliabile col contributo che esse possono recare alla crescita e alla stabilità dell’economia.