Ci sono diverse cose che rendono Matteo Renzi molto differente da me. Questioni di indole e inclinazioni politiche. Per trent’anni sono stato un sindacalista e, finché è esistito, un militante del Pci. Mi sono quindi formato nel solco di uomini come Bruno Trentin ed Emanuele Macaluso, la cui perdita soffriamo in queste ore. Dunque, nella mia formazione, nel mio lavoro, nella mia militanza ho imparato a guardare con attenzione e rispetto alle forze produttive in generale, a collocarmi con fermezza dalla parte del lavoro e a essere assennatamente riformista e ostinatamente gradualista.

Naturalmente, Matteo Renzi è di un’altra generazione anagrafica e, ha un’origine politica diversa dalla mia. Ma non è questo il problema. Il quale è, invece, il suo essere un giocatore di poker – tutto l’opposto di un gradualista – pronto a puntare in una singola mano i destini propri come quelli degli altri. Da questo suo tratto caratteriale è nata la diffusa convinzione che sia un “animale politico” istintivo e dai riflessi fulminei. E non voglio qui dire che non conosca la politica e che non ne abbia un’adeguata cultura. Ma ne ha una concezione sbagliata, eminentemente tattica, incline a cedere al proprio stesso carattere, alle pulsioni personali, alla percezione di sé come orizzonte della partita. E questo non è un buon approccio alla politica.

Puoi infliggere agli avversari il “cappotto” in una singola mano, questo sì. Ma alla fine cosa resterà nel “piatto”? Molto spesso macerie. Aprire una crisi nelle condizioni attuali e nei modi scelti dal leader di Italia Viva non ha portato i frutti che Renzi desiderava e ha lasciato, attraverso la vicenda parlamentare maturata martedì sera, uno scenario nebbioso e inutilmente balcanizzato.

Renzi, che invocava una visione più ampia nell’azione di governo, ha finito per rompere il cannocchiale. E si badi: non perché, in assoluto, credere che si possa ampliare lo sguardo sulla difficilissima situazione che l’Italia – insieme al resto del mondo – attraversa non sia un’idea giusta. Come potrebbe non esserlo? Credo che nessuno rappresentasse come perfetta l’azione del governo. Si può far sempre meglio. Anzi: per svolgere un’azione politica efficace, si deve sentire l’imperativo di far sempre di meglio. Inclinazione che ho imparato e praticato in innumerevoli trattative che ho condotto da sindacalista così come da ministro del Lavoro e da presidente di Commissione parlamentare. Lavorare con gradualità e mediare, senza perdere di vista l’obiettivo. Cosa si deve fare, allora?

Io credo che, in primo luogo, il Partito democratico, il più grande partito del centrosinistra deve essere il motore della soluzione. Non c’è dubbio che i confini della maggioranza abbiano perso definizione in seguito allo sbocco parlamentare di martedì. La spallata renziana non è andata a buon fine. Ma non si può attendere il nuovo consolidamento della maggioranza per venire a capo di capitoli decisivi e urgentissimi.

Dobbiamo, perciò, farci carico di una accelerazione che vada nella direzione di definire quei contenuti. Anche perché, dall’altra parte, c’è un’opposizione che è persa nel mantra della richiesta delle elezioni. Non si deve però pensare, io credo, che nelle forze di opposizione non ci sia – almeno in parte di esse – chi non è ben consapevole quanto sia urgente essere parte della soluzione e non del problema.

Gli stessi voti venuti a sostegno del governo da parlamentari, in particolare, ormai, ex-Forza Italia, sono indice di una consapevolezza più diffusa in quell’area. E probabilmente, lo si deve dire, il presidente del Consiglio avrebbe dovuto cercare un dialogo molto più determinato con l’opposizione così come con le forze sociali.I piani Next Generation Eu, i ristori, gli ammortizzatori sociali e la campagna vaccinale non possono aspettare. Il Paese non può aspettare. E l’Europa non ci aspetterà per sempre.