Quando Greta Thunberg dice che la Terra è casa nostra fa leva sul concetto, caro agli umani, della tutela del proprio privatissimo perimetro vitale. Greta sa quel che sa anche Daniele Scaglione: che gli umani sono idioti, nell’accezione che il greco antico riconosce alla parola idiota, poiché estranei agli affari che riguardano la collettività.

Idioti per i greci erano i cittadini comuni, incolti come i terrestri sono diventati, più degli inquilini di prima, i dinosauri che duecentotrenta milioni di anni fa hanno abitato qui, e lo hanno fatto per centosettanta milioni di anni rimanendo impegnati nelle attività basic di mangiare, dormire, scappare, accoppiarsi, evacuare ma che hanno tirato avanti fino all’arrivo dell’asteroride tenendosi cara casa loro.

«Our whole universe was in a hot dense state,Then nearly fourteen billion years ago expansion started, wait» a parlare delle origini del pianeta e della sua fine viene in mente la sigla di The Big Bang Theory e come in un time lapse l’Esplosione, lo sviluppo degli autotrofi, l’arrivo dei dinosauri, i Neanderthal al lavoro, proliferazione di virus fino Big Crunch, il collasso dell’Universo cui nessuno dei presenti assisterà per essersene andato molto prima.
Che l’asteroide siamo noi, noi la causa della sesta estinzione di massa in corso è un claim che ricorre da un po’, ma forse non abbastanza a sentire le riflessioni di climatologi e fisici come Michel Mayor.

Il concetto lo ribadisce anche Daniele Scaglione in Più idioti dei dinosauri, edito da e/o, riflessione sul cambiamento climatico condotta avendo come interlocutore il figlio novenne, Cosimo come il Barone che salì sugli alberi e lì rimase, cercando risposte ai quesiti ambientali che un ragazzino può formulare oggi e a quelli che potrebbe rivolgergli e rivolgersi in futuro di adulto. Su tutti LA domanda «Perché avete lasciato che accadesse?»

Scaglione, fisico, formatore collaboratore di wikiradio (interessante la puntata sul suono del Big Bang) già presidente della sezione italiana di Amnesty International, è divertente e intellettualmente onesto nella trattazione della delicatissima e serissima faccenda e cerca di prenderla in modo molto pratico; lo fa immaginando e facendo immaginare le caratteristiche di futuro prossimo e delle domestiche privazioni che toccherebbero a questa parte fortunata di mondo, che si ritroverà senza alcuni cibi, senza certe mete di vacanze, senza neve nelle piste da sci ( alle Olimpiadi invernali di Pechino ci stanno già facendo i conti), senza Venezia, e senza figli, perché sarà più sostenibile non averne.

Ogni umano idiota e meno idiota può provare lo stesso smarrimento dell’autore prendendo atto della coesistenza del pericolo per il sovra popolamento della Terra e dell’allarme per calo delle nascite, di fronte alla stima dei morti per cambiamento climatico, decisamente inferiore a quelle dovute ad abuso di alcol e incidenti stradali. Si parla di molte cose in questo saggio: letteratura, allevamento, lavoro, urbanistica; a tal riguardo, a Scaglione va il merito di dare una tregua dall’inesausta mitologia del borgo da ripopolare per introdurre il concetto, elaborato da Elena Granata, di città intermedia. In Più idioti dei dinosauri il discorso tocca il tema della scelta delle auto, dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, della croce delle emissioni di C02 (che nel 2020 dopo cui nulla doveva essere più come prima, secondo Nature Climate Change sono cresciute sol un po’ meno rispetto al solito) e molto di giovani, delle promettenti, volenterose nuove generazioni, che daranno manforte ai Non Idioti consapevoli che la Terra si sta scaldando contro la fazione di chi vuole continuare ad arricchirsi coi combustibili fossili.

Le parole di un giovane fisico e matematico, che Scaglione riporta, rivelano una convinzione: l’umanità ce la farà a costo di grandi battaglie, a fronte di grande collaborazione tra terrestri, senza il pericolo di noia. Un pensiero non lontano da quello di Michel Mayor, fa venire voglia di fare vedere che siamo qualcosa di più di una forma evoluta di alga, che come dicevano anche l’astronomo Carl Sagan, Margherita Hack e a modo suo William Shakespeare, contendendo le nostre cellule elementi creati durante l’esplosione di supernove, siamo fatti della stessa pasta delle stelle.