Andrea Pertici, professore di diritto costituzionale a Pisa, è l’autore con Pippo Civati della proposta di legge di riforma del bicameralismo e del Titolo V presentata dallo stesso Civati alla camera e sostanzialmente ripresa da Vannino Chiti al senato. Governo e maggioranza Pd ne hanno chiesto (invano) il ritiro. Da qui partirà il confronto in prima commissione al senato: dall’elezione diretta dei senatori. Civati e Chiti sono per mantenerla, il disegno di legge Renzi-Boschi invece la abolisce.

Professore, qual è lo scandalo di un senato non elettivo?
Non c’è scandalo. Ma il governo ha scelto un modello che non ha omologhi nel panorama comparato. Sbaglia a sostenere che quasi tutti i senati sono non elettivi. Restando in Europa tra paesi di dimensioni simili al nostro, escludendo ovviamente la camera dei Lord inglese, la Spagna ha un senato misto, la Polonia uno interamente elettivo.

Ma è alla Germania e alla Francia che si riferisce di continuo la ministra Boschi.
Il Bundesrat tedesco è assai difficilmente esportabile, non è considerato neppure una vera e propria seconda camera. È formato soltanto dai rappresentati dei governi dei lander che votano con un’unica posizione; da un certo punto di vista richiama più alcuni aspetti della nostra conferenza stato-regioni. Quello francese è sì un senato di secondo livello, ma il cui elettorato passivo sta nella generalità dei francesi che abbiano compito 24 anni. E da poco in Francia è stata prevista l’incompatibilità tra le cariche parlamentari e quella di sindaco, tutto il contrario che da noi.

Non ha ragione il governo a sostenere che con l’elezione diretta c’è «il rischio che i senatori si facciano portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle istituzioni di appartenenza»?
Nel progetto del governo i senatori non hanno più la rappresentanza della nazione, ma verrebbero scelti sul territorio dai capi partito. Sulla base, è facile prevedere, di equilibri trovati a livello nazionale. Senza contare l’impossibilità di svolgere adeguatamente il doppio mandato, che nel caso di sindaci metropolitani o presidenti delle nuove province potrebbe essere anche triplo. Non so come potrebbero riuscire a fare tutto.

Forse perché il senato che propone il governo non fa molto.
Più che altro nel disegno di legge Renzi-Boschi si dice di cosa il senato non può occuparsi. E quello che resta è assai poco. Meglio allora sarebbe un serio monocameralismo, peraltro assai diffuso nel mondo, anche se generalmente non in paesi della dimensione dell’Italia. Ma il monocameralismo richiede una serie di contrappesi e di garanzie nei passaggi parlamentari che andrebbero studiati adeguatamente. Teniamo presente, però, che non sempre due camere sono sinonimo di lentezza. Perché è solo la prima camera a svolgere il lavoro istruttorio, che quindi può risultare anche alleggerito.

È per questo che le proposte Civati e Chiti lasciano per molte leggi la competenza bicamerale? Prestandosi così all’accusa di non incidere nel bicameralismo paritario.
La lista delle leggi bicamerali si può discutere. All’osso lascerei a entrambi i rami del parlamento le leggi costituzionali, le leggi elettorali, le leggi per le quali la Costituzione richiede maggioranze qualificate come amnistia e indulto, le leggi a tutela dei diritti fondamentali e, nell’ipotesi di un senato camera della coesione territoriale, le leggi espressione della potestà legislativa concorrente. Sulla materia europea andrei cauto. La ratifica dei trattati e bene che sia di competenza bicamerale, ma per l’attuazione delle direttive meglio regolarsi in base all’argomento.

In definitiva anche la proposta Chiti supera il bicameralismo paritario e riduce i parlamentari ancora di più. Mantiene però l’elezione diretta dei senatori. È possibile una mediazione con quella del governo? L’esecutivo dice di no.
Io penso invece che sarebbe auspicabile. E potrebbe essere, soprattutto per quanto riguarda la composizione, la proposta Civati di includere anche una rappresentanza delle istituzioni territoriali che condividono il potere legislativo; delle regioni dunque e non dei comuni. Questa rappresentanza più limitata di secondo livello potrebbe essere fissa, mentre la quota dei senatori elettivi andrebbe stabilita in proporzione alla popolazione, avendo le regioni italiane dimensioni assai diverse.

E per quanto riguarda le funzioni?
Noi proponiamo una camera alta che mantiene poteri importanti, ancorché differenziati. Ad esempio, visto che di questo si parla in queste ore, il controllo sulle nomine pubbliche. Anche nell’ordinamento americano è affidato al senato. Un dibattito in commissione assicura trasparenza sulle ragioni che hanno portato il governo a scegliere una persona anziché un’altra.

Queste mediazioni con il testo del governo potrebbero essere fatte anche con emendamenti?
Con gli emendamenti si può fare tutto, anche cambiare molto profondamente una legge. Intanto aspettiamo di vedere quale testo sarà assunto come base per il lavoro della commissione. Dovessimo giudicare solo sulla base del consenso diffuso direi che quello Chiti andrebbe preferito.