Con questo saggio, versione ampliata e rivista di un contributo apparso in inglese nel 2019, Ilaria Pavan si propone di analizzare un aspetto non certo marginale della persecuzione antisemita che ha avuto luogo nel nostro Paese: quello relativo ai riflessi economici della legislazione finalizzata a spogliare delle loro proprietà i cittadini italiani e stranieri «di razza ebraica».

TRA IL 1938 E IL 1943 trovarono infatti zelante e rigorosa applicazione quei provvedimenti che miravano a escludere progressivamente dal mondo del commercio, dell’imprenditoria e delle professioni la popolazione israelita; in seguito, fino al 1945, a varare prima nuove, più severe disposizioni e avviare poi il periodo caratterizzato dai sequestri indiscriminati fu il governo collaborazionista della Rsi – in piena autonomia dall’alleato tedesco. Si trattò dunque, nel complesso, di vessazioni che, perpetrate nel corso di ben sette anni, avrebbero lasciato tracce assai profonde nella vita di quanti ne erano stati colpiti.

NEL SUO STUDIO, dal titolo Le conseguenze economiche delle leggi razziali (il Mulino, pp. 320, euro 25,00), la storica della Scuola Normale Superiore di Pisa sottolinea anzitutto la solerzia con la quale il regime fascista procedette a espropriare case, fabbricati, terreni e imprese, costrinse centinaia di ditte a cessare la propria attività, privò dell’impiego un gran numero di insegnanti, docenti universitari, assicuratori, militari, magistrati, bancari e dirigenti d’azienda. Ma non trascura affatto di mettere in rilievo come, durante la guerra civile, gli incameramenti e i saccheggi dei loro beni si siano moltiplicati.

Occorre però osservare, a questo punto, come Ilaria Pavan abbia esteso la propria indagine anche al modo in cui lo Stato repubblicano ha ignorato o addirittura ostacolato i legittimi tentativi esperiti dagli ebrei superstiti per tornare in possesso di quanto era stato sottratto loro. Convinta che la questione delle depredazioni non debba limitarsi a una pura e semplice monetizzazione della Shoah ma possa dare luogo a una storia sociale dell’antisemitismo e dei suoi meccanismi, la studiosa manifesta l’intenzione di esaminare anche il valore identitario degli oggetti e averi derubati.

Scrive dunque al riguardo: «Se persecuzione, guerra e sterminio rappresentarono una lacerazione, una cesura netta nelle vicende delle comunità ebraiche, il processo di spoliazione dei beni e la complessa stagione delle restituzioni postbelliche costituiscono in ogni caso due fasi complementari, strettamente connesse e intrecciate che è utile valutare nel complesso».

LA SUA RICOSTRUZIONE tende dunque a esaminare i due momenti nel loro insieme: una scelta analitica davvero stimolante che, rivolgendo il proprio sguardo a vari decenni del dopoguerra, impedisce di considerare la persecuzione antiebraica una parentesi nell’ambito della storia d’Italia poiché consente, al contrario, di individuare nel periodo postbellico la persistenza di alcuni pregiudizi antisemiti che erano stati disseminati dalla propaganda fascista.

A proposito poi della riconsegna dei beni, va rilevato come questa non sia mai avvenuta d’ufficio ma soltanto a seguito di una specifica richiesta degli interessati: le autorità scelsero inoltre di accettare la presunta «buona fede» di coloro che, a partire dal 1938, avevano acquistato i beni appartenuti ai perseguitati: si trovarono così a godere di un’ampia tutela quanti – comunque a spese delle vittime della legislazione razziale – avevano approfittato spesso della situazione.

LE DISPOSIZIONI approvate in materia di restituzioni dai governi post-mussoliniani costrinsero dunque molti cittadini di origine ebraica a intentare procedimenti giudiziari lunghi e costosi il cui esito sarebbe stato spesso negativo. Insomma: se gli israeliti erano stati ormai reintegrati nei propri diritti civili e politici, l’analogo processo relativo a quelli patrimoniali si rivelò invece assai parziale. Sulla questione, originato da una vasta comunanza di interessi, sarebbe calato in seguito un lungo, persistente silenzio: al quale si sarebbero ben presto rassegnati gli stessi ebrei.