Per celebrare il decennale della sua storia, lo Sponz Fest diretto da Vinicio Capossela nei paesi dell’Alta Irpinia (terminerà con il consueto e lungo concerto finale dalla notte del 26 all’alba del 27 agosto), ha dato alle stampe per l’editore Baldini + Castoldi il libro Come li pacci – Un racconto a più voci di dieci anni di Sponz Fest (pagine 328, euro 25).
Come li pacci (Come i pazzi), tema di quest’anno dedicato alla salute mentale nelle sue varie sfaccettature, vedrà il ritorno di un beniamino del festival nella voce struggente e tormentata di Micah P. Hinson in concerto sabato 26 prima del grande raduno finale con ospiti, tra gli altri, Samuele Bersani, Margherita Vicario, Paolo Rossi, Christopher Wonder, Daniel Melingo e la Banda della Posta anch’essa in festa per il decennale del primo disco.

PRESENTATO da Vinicio Capossela il volume sullo Sponz raccoglie moltissime testimonianze di protagonisti di questa ormai lunga avventura che abbisogna, va detto, anche di un rinnovamento verso un più accentuato salto di qualità che si lasci alle spalle non solo alcuni incontri «retrò» ma anche la logica del consumo, magari di qualità, ma fine a se stesso, non comprensibile in luoghi che hanno bisogno come l’aria di grandi strutture culturali.
Gustosi come al solito sono i «siparietti» con cui Capossela presenta i vari capitoli della storia. Come questo. «Chiunque abbia organizzato eventi culturali partecipando a bandi di finanziamento pubblico sa che non c’è coincidenza tra erogazione del servizio e suo pagamento. In questa perversa spirale asimmetrica i debiti si accumulano e lavoratori e fornitori finiscono per essere finanziatori in anticipo e, dunque, parafrasando Céline, finisce che non solo la morte è a credito, ma anche i panini, gli elettricisti, le affissioni, gli affittii delle case. Soltanto la Siae deve essere pagata subito: come le tasse non accetta dilazioni. Aumentano i malumori e non ci si può più far vedere in giro perché a ogni angolo c’è qualcuno a cui si deve qualcosa».

SONO TANTE le storie che escono fuori da questa memoria collettiva come l’indimenticabile visita, nell’edizione ricchissima e «metaforica» dedicata al treno nel 2014 (venne riaperta infatti la vecchia ferrovia dismessa sull’onda emotiva di quella straordinaria edizione), del fotografo Mario Dondero che cantò, già molto anziano, l’intera Fischia il vento davanti a migliaia di persone.
Dal libro viene fuori l’ambizione di rinascita nei paesi montani. «Stiamo tutti vivendo un Purgatorio – conclude Capossela – e l’Appennino è il nostro monte di salvazione. Un confronto prolungato con la natura e i cicli, non più avvertibile nelle pianure, un allungamento di sguardo e di pensiero, talento e intelligenza che ridanno valore alle mani, al saper fare ma anche al saper guardare: è solo dalle zone considerate marginali che possono provenire indicazioni di vita che siano testimonianza di non remissione agli imperativi dominanti».