Marsiglia è forse una città senza stelle? Partendo dall’etimologia latina del verbo desiderare «avvertire la mancanza di stelle», Ilaria Turba – artista figurativa e fotografa, in residenza dal 2018 e durante tre anni presso lo Zef – Scena nazionale di Marsiglia – ha sviluppato un progetto incentrato su desiderio, immaginari collettivi e memoria. Per realizzarlo, Turba ha lavorato con le comunità limitrofe alla Casa degli artisti «La Gare Franche» e al teatro Merlan (entrambi parte dello Zef), nei cosiddetti Quartieri Nord, caratterizzati da una popolazione multiculturale e da un crogiolo – talvolta esplosivo – di problematiche socio-identitarie.

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Fino al 27 settembre, il Mucem – nelle sedi del Fort Saint-Jean e del Centre de conservation et de ressources (Ccr) – ne ripercorre le tappe con un’esposizione dal titolo Le désir de regarder loin. La mostra è curata da Èmilie Girard, direttrice scientifica delle collezioni del Mucem. La collaborazione con il Museo dell’Europa e delle Civiltà del Mediterraneo nasce dalla necessità di Turba di confrontarsi non solo fisicamente con un territorio ma di esplorarne anche la memoria attraverso gli oggetti. Nella sua «capanna» allestita negli spazi della Gare Franche (e ricostruita al Fort Saint-Jean per il periodo della rassegna), l’artista italiana ha raccolto i desideri degli abitanti per poi dar loro una forma: oggetti come racconti, come tracce dell’intimità di ciascuno, come capacità di orientarsi altrimenti.

A ispirare tali rappresentazioni sono state proprio le ricerche nei depositi del Mucem, dove Turba si è lasciata trasportare dal potere rituale dei pani, un tempo (e ancora oggi in diverse regioni del Mediterraneo) utilizzati in occasione di avvenimenti festivi e religiosi. Simboli di fertilità o ex-voto dagli innumerevoli disegni, i pani conservati al Mucem hanno spinto Turba a «impastare» i desideri dei giovani partecipanti ai suoi atelier, con l’obiettivo di contribuire a creare un legame tra le differenti componenti culturali dei Quartieri Nord, sul filo di una tradizione (re)inventata. Al Ccr, in vetrina o disposti in tavola dentro a campane di vetro, sono dunque offerti i «pani del desiderio». Tra di essi animali, bambini in fasce e anche un libro con una piccola figura fatta di grani di pepe: è la biografia sognante di Amina, che ama leggere e viaggiare con l’immaginazione. Fatima ha invece modellato il suo pane come il viso di un’anziana signora, una «nonna»: è il desiderio di ritrovare il tempo per fare le cose e di riscoprirsi bambina. Ai pani sono associati – com’è consuetudine nelle esposizioni del Ccr – anche alcuni oggetti appartenenti al Mucem. Nel caso del libro di Amina, una borraccia in terracotta verniciata dall’Ungheria, risalente agli inizi del Novecento, usata come supporto per la scrittura. Ad affiancare il pane di Fatima è invece una maschera veneziana in cartapesta degli anni ‘80 del XX secolo.

I pani sono stati inoltre fotografati dalla stessa artista durante gli atelier. Poiché al desiderio si lega spesso la superstizione, Turba ha realizzato anche una serie di portafortuna, esibiti nel loro insieme al Fort Saint-Jean, in una composizione che vuole richiamare il cielo stellato. Fabbricate nello spazio pubblico dello Zef, le placchette di metallo decorate con motivi scelti dai partecipanti agli atelier sono state distribuite, lo scorso fine settimana, tramite una lotteria, una dei pochi momenti di festa che unisce solitamente gli abitanti dei Quartieri Nord. Ad essi Turba – che in novembre presenterà (in collaborazione con Ettore Tripodi) una seconda esposizione presso l’Istituto italiano di cultura di Marsiglia – ha prestato anche i binocoli da teatro ricevuti in eredità dalla nonna, affinché uno sguardo che viene da lontano sia veicolo di speranza per un orizzonte condiviso.