Negli ultimi giorni sono aumentate le pressioni per modificare il cosiddetto ecobonus, un provvedimento pensato per la riqualificazione energetica e per la sicurezza antisismica del patrimonio ad uso abitativo del nostro paese e su cui lo Stato ha deciso di investire ben 15 miliardi.

Una pioggia di emendamenti si sta abbattendo sull’articolo 119 del decreto Rilancio, che prevede appunto detrazioni fiscali del 110 per cento ai soggetti che si impegneranno nei prossimi mesi (e fino alla fine del 2021) a ridare efficienza, valore d’uso, qualità agli edifici residenziali. Sono interessati i condomini, le cooperative di abitanti a proprietà indivisa, gli enti gestori delle case popolari, i proprietari di case unifamiliari.

Ora, c’è già chi, dalla maggioranza e dall’opposizione, si propone di allargare le maglie ad altri beneficiari: ai proprietari di seconde case, agli alberghi, agli enti non commerciali, agli immobili delle imprese, agli impianti sportivi e altro ancora.

E’ veramente grave che, intorno a un provvedimento che finalmente mette al centro la politica della manutenzione, dopo decenni di espansione edilizia senza limiti e senza regole, siano in atto manovre per stravolgerne la portata innovativa. In sede di conversione in legge, sarebbe opportuno stabilire dei criteri di priorità per scongiurare la dispersione delle risorse in mille rivoli. Se così non fosse, occorrerebbe affidarsi alla capacità dei Comuni italiani di svolgere un’azione di coordinamento e di promozione delle cose più urgenti da fare sul proprio territorio, concentrando su queste ogni sforzo tecnico e politico.

Non dovrebbe essere difficile. Infatti, circa la metà del patrimonio residenziale del nostro paese ha più di 50 anni. Ciò significa che i primi interventi non possono non riguardare il patrimonio immobiliare più vetusto e degradato: gli 800 mila alloggi degli Iacp (comunque denominati) generalmente malmessi, di cui 55 mila addirittura vuoti perché inagibili; le abitazioni degli anziani; le abitazioni inutilizzate o, in alcuni casi abbandonate, che insistono nei centri storici, nelle periferie urbane, nei borghi collinari e montani.

Le case degli anziani, in particolare, sono le più vecchie e le meno sicure. Molti di loro, ad un certo punto, finiscono nelle Case di riposo anche perché i loro alloggi richiederebbero molteplici interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, in primo luogo su impianti di riscaldamento inefficienti e costosi.

Con l’ecobonus, dunque, milioni di abitazioni potrebbero essere dotate della sicurezza necessaria, di impianti energetici a basso consumo, del comfort adeguato. E molte di queste, con un’opportuna riorganizzazione degli spazi, sarebbero riutilizzabili, contribuendo a dare una prima risposta concreta, sia pure non sufficiente, al bisogno abitativo di giovani, di famiglie a basso reddito e di immigrati.

Senza un ruolo attivo dei Comuni, però, le agevolazioni previste diventerebbero di fatto appannaggio quasi esclusivo delle famiglie più benestanti e informate, col rischio di creare disparità e ulteriori disuguaglianze sociali. Alle amministrazioni comunali spetta anche un ruolo di accompagnamento, di supporto tecnico e di tutoraggio delle famiglie interessate, proprio per superare l’asimmetria informativa sull’argomento.

Sarà decisivo, inoltre, costruire un rapporto positivo con banche e imprese edili alle quali, secondo la norma in questione, potranno essere ceduti i crediti d’imposta. La stipula di accordi e convenzioni tra famiglie, imprese e banche è un punto centrale. Sulle modalità di cessione del credito infatti, si gioca la possibilità di suscitare un’ampia partecipazione di cittadini e lo stesso successo dell’ecobonus.

Di pari passo con l’attuazione degli interventi di riqualificazione energetica e di sicurezza antisismica sul patrimonio residenziale, dovrebbe camminare un provvedimento della stessa portata riguardante i beni pubblici: le scuole, gli ospedali, i tribunali, le carceri, gli immobili della pubblica amministrazione e del demanio, i beni culturali. Senza trascurare l’implementazione del piano nazionale per gli interventi di messa in sicurezza dai rischi idrogeologici. Con questo insieme di misure si darebbe un impulso poderoso alla qualità urbana, alla sostenibilità ambientale, all’attivazione di nuovi lavori ad alto contenuto professionale.

Si darebbe anche una forte spinta alla innovazione e al rilancio delle imprese che operano nell’edilizia. Ecco come, partendo da una misura che torna a parlarci non solo del valore di scambio, ma anche del valore d’uso della casa, sarebbe possibile mettere in moto un diffuso processo di rigenerazione urbana e di difesa del suolo a livello nazionale. In conclusione, la politica di manutenzione, oltre ad indicare una strada virtuosa da seguire, può avere una funzione anticiclica da non sottovalutare nella crisi attuale.