Le recenti pubblicazioni di ObarraO Edizioni, oltre a offrire testi fondamentali per comprendere l’Asia e arrovellarsi intorno al tempo passato e presente, presentano spesso autori in grado di rappresentare un mondo che ingloba la propria opera.
È il caso di Soth Polin, autore de L’anarchico (ObarraO, traduzione dal francese di Alessandro Giarda, pp.188, 16 euro). «Sono stato perseguitato dal mio peccato. Ho sempre incolpato me stesso. Tutti i cambogiani sono perseguitati dal loro peccato. È stato un genocidio collettivo. I cambogiani si vergognano di quello che è successo. È qualcosa di presente nel subconscio», ha raccontato al Los Angeles Times nel 1998 (Polin si è trasferito lì, dopo la fuga dalla Cambogia e il periodo parigino). Di Cambogia, Pol Pot e quanto accadde è pregna la sua opera, impossibile non confrontarsi con quanto accaduto, anche in modo laterale.

IL LIBRO, composto da due parti scritte a dodici anni di distanza, una in khmer e l’altra in francese, è un continuo rimando tra realtà e follia, tra quotidianità e sogno. Una sorta di romanzo di formazione post devastazione umana, corsa scivolosa verso la comprensione del peccato originale, tra sesso, sangue e puntute riflessioni esistenziali e filosofiche (c’è Nietsche, di sicuro, ma non mancano riferimenti al buddismo). Come scrive Patrick Deville nella prefazione, «la vita di Soth Polin si fonde con la storia terribile e movimentata della Cambogia».
Discendente del grande poeta Nou Kan, gloria nazionale, nasce nel 1943 a Kampong Cham nella borghesia di provincia francofona e colta. È ancora l’epoca del protettorato. Il governo di Vichy ha appena installato sul trono il giovanissimo Norodom Sihanouk. Soth Polin ha dieci anni quando la Cambogia raggiunge l’indipendenza. L’anno seguente, la battaglia di Dien Bien Phu mette fine alla prima guerra d’Indocina. Alle scuole medie, il suo professore di francese è un certo Saloth Sar. Di quel periodo Polin ne ha parlato: Saloth Sar era un insegnante «poco conosciuto, benché si dicesse che conosceva bene la letteratura francese».

TANTO BASTÒ a Soth per ingaggiarlo per un mese. «Non posso dimenticarlo», ha raccontato a Sharon May in Beyond Words: An Interview with Soth Polin, Manoa, (vol. 16, n°1, 2004). Saloth Sar sarebbe diventato famoso con il nome di Pol Pot, e proprio a lui Polin dedicò un articolo piuttosto discusso su Le Monde nel 1980 (La dolcezza malvagia di Pol Pot) che gli valse parecchie critiche, nonostante il regime dei Khmer gli abbia provocato non pochi problemi e lutti familiari.
Verso la fine degli anni ’60 aveva infatti fondato il quotidiano nazionalista Nokor Thom e si era schierato contro Sihanouk e i comunisti. Fino al 1974 aveva appoggiato il generale Lon Noi. Poi, in seguito all’assassinio dell’amico Tchach Chea, viceministro all’Educazione, lasciò il paese rifugiandosi in Francia. A Parigi ha lavorato come tassista e ha pubblicato il romanzo L’anarchico, la cui prima parte, in Cambogia, era circolata in modo clandestino, diventando una sorta di caso letterario.