Che qualcuno abbia provato – e ci sia in massima parte riuscito – è la cosa che conta. Il libro di Giuseppe Montesano non si presenta come neutra summa, ma come un punto di vista generazionale sul sapere. Ed è Lettori selvaggi (Giunti, pp. 1919, € 50,00), che reca come sottotitolo dai misteriosi artisti della Preistoria a Saffo a Beethoven a Borges la vita vera è altrove (c’è anche molto jazz). Generazionale vuol dire almeno parzialmente autobiografico: chissà se nel corso della sua vita Montesano ha continuamente preso appunti dalle sue letture o se ha deciso a un certo momento di prenderne, andando a ritroso.
Di questo punto di vista si potrebbero focalizzare alcuni giudizi tra i più controversi per aderirvi o prenderne le distanze, ma il lavoro e la costanza necessari per erigere l’opera imponente non dovranno mai dimenticarsi, anche affacciando riserve. Comunque: Montesano ha reso pubblico il suo archivio memoriale, le sue passioni e le sue idiosincrasie, raffreddando al punto giusto le une e le altre, non per occultare ma per dare al complesso dell’impresa quel tasso di obiettività che ogni opera enciclopedica esige. E lo ha fatto non per se stesso, anche se resta non pronosticabile chi possa essere il fruitore ideale di un’opera così e in che modo tale fruitore, per quanto ideale, possa fruirne. Non basta forse chiedersi se il libro di Montesano vada letto o consultato, ma la lettura continuata e la consultazione all’occorrenza sono entrambe previste nel suo progetto a rete che prende e rilascia, nel testo come nella bibliografia, anch’essa di indole saggistica.
Si può credere che sia un’opera concepibile soprattutto (non necessariamente ma soprattutto sì) nell’epoca del computer, giacché l’archiviazione in schede o appunti, risolta in micro-saggi tendenti all’aforisma è pronta a comporsi con agevolezza non prevista dalla scrittura su carta se non a costo di ritagli e incollature continue (le funzioni copia e incolla che il computer rende ordinarie sono state di grande ingombro al tempo della scrittura solo su carta). Copia e incolla da taccuini cumulati nel tempo, pronti a distendersi e – è la parola chiave che identifica l’opera – a combinarsi in quello che bene o male si può definire un discorso sistematico e sistemico. Una combinatoria proprio come l’arte della memoria, sorretta da luoghi-stanze dove rincorrere il sapere. Così Lettori selvaggi è un palazzo a molti piani e a molte stanze da percorrere seguendo l’istinto, come i sentieri del capolavoro di John Ford: un libro sulla permanenza della bellezza nel mutare delle arti.
L’indice dei nomi-personaggi è impressionante, come è impressionante, proprio per tanta abbondanza, l’assenza di qualche autore che si immagina prossimo al sentire di Montesano (detto tra parentesi: non un paragrafo su Croce, la cui Estetica almeno è stata una presenza notoriamente ramificata, andata a finire in Borges): ma il discorso per dare il senso di queste assenze o limitazioni sarebbe lungo. Lo si affronta perché c’è un nome, escluso dall’indice (che magnifico lapsus, a chiunque si debba l’omissione), invece ben presente e il cui trattamento dice non poco sulla radicalità giudicante di Montesano, il cui procedere solo sembra – e non è, a suo merito – largamente inclusivo.
Nelle pagine sui Presocratici, Montesano scrive: «A lungo i Sapienti chiamati Presocratici furono fraintesi dagli studiosi, o tirati di qua e di là con supponenza da iloti, e valga per tutti l’esempio di uno pseudo-filosofo troppo a lungo riverito come Popper, che sfigurò e falsificò completamente il loro pensiero, ricavando dalla bellezza traboccante dei Sapienti greci una miserabile incomprensione». Non è solo l’attacco frontale a Popper che conta; e non è nemmeno la ritorsione contro Popper di una parola così popperiana quale «falsificò» che preme (ma che finezza nell’usarla); lo è ciò che segue: il filosofo non li comprese «facendone dei pre-scienziati ingenui, annuncio balbuziente di un progresso scientifico trionfale che solo un ingenuo come Popper poteva vedere in atto in un’epoca di stermini mentali e materiali senza paragone con nessun’altra epoca». La mano forse calca troppo, e l’aggettivazione è magari ingenerosa; ma il punto è strategico, perché – ed è una delle chiavi di accesso al libro – tutto serve alla contrapposizione di Popper con un altro universo, parallelo e anzi opposto al suo: «in tutt’altra direzione, e con tutt’altra forza, cercando davvero il senso di quel pensare che genera la scienza indagando le sue forme, andarono le ricostruzioni di Giorgio de Santillana» e poi di Semerano e Colli (ma i volumi della sua Sapienza greca non sono tre?). Perciò del disegno di Lettori selvaggi si potrebbe dire proprio ciò che Montesano scrive per Santillana: che «anche ciò che è discutibile è fecondo».