Eftimios

6/41. “Perché scriviamo un film di fronte a tanta bellezza?”

Nella casa tra gli alberi al lago scrivevamo “Luce senz’ombra”.

Al piano di sopra, nello studio, era venuto più volte, Eftimios. Si sedeva nella poltrona di legno e cuscini davanti alla scrivania e mi osservava lavorare. Pensavo, scrivevo, ripensavo, aggiustavo. Lo guardavo, ogni tanto, lui imparava – come impara un apprendista da un mastro. Poi un giorno ho capito che aveva imparato tutto, e ci siamo messi a scrivere un film insieme. Già avevamo lavorato a un altro film, “Angelus Novus”, lui si era occupato della musica. Aveva scelto certi brani di Mozart e poi li aveva lavorati Vittorio Gelmetti, dall’altra parte del lago.

Il titolo del film l’avevo tratto da Leonardo, “Luce senz’ombra”, a indicare quella certa luce della prima mattina e dell’ultimo pomeriggio quando i raggi del sole non sono ancora arrivati o se ne sono appena andati, e le cose del mondo raggiungono per sempre e mantengono per poco un equilibrio perfetto di volumi e colori, e tutti tacciono, gli uccelli, gli alberi, persino certe persone-che-non-la-smettono-più. Volevo dire “Eftimios” e ho scritto “Luce senz’ombra”. Eftimios in greco vuol dire “colui che porta la gioia”, ma il greco lo conoscono in pochi, la luce senz’ombra l’hanno vista molti.

Scrivevamo, con metodo. Fino alla sera in cui arriviamo alla scena del giovane terrorista che si fa il bagno di notte in un antico lavatoio di paese etrusco. È solo e si fa il bagno, come Agostino di Ippona – per liberarsi dal dolore. Scriviamo la scena e poi, nei giorni che seguono non scriviamo più – il tumore al cervello di Eftimios avanzava senza rimedio –  ma ogni tanto per farlo sorridere gli dico che dobbiamo continuare, perché lo abbiamo lasciato a mollo, quel giovane. Lui mi guarda e sorride piano, come Mozart, che non sai mai bene se ride o pensa o tutt’e due assieme.

E un pomeriggio mi chiede a bruciapelo: “Papà, perché scriviamo ancora un’opera, quando il mondo è pieno di grandi opere, e ci sono gli alberi, i mari, le persone, meravigliose anche quando non lo sanno?” E si pone l’indice orizzontalmente sulle labbra, e pensa con me. Mi fermo, e penso con lui. Lo guardo bene bene e in fine gli dico: “Perché stiamo insieme, costruiamo inventando altre opere, altri alberi, altri mari, altre persone, e intanto la vita passa.” Non risponde. Gli basta. Gli bastava poco per vivere.

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