Mucche e maximungiture nelle principali piazze italiane per sensibilizzare l’opinione pubblica al problema del latte: Coldiretti ha deciso di attirare in questo modo l’attenzione su un settore che a detta degli agricoltori è sempre più in sofferenza. Dall’inizio della crisi, spiegano i coltivatori nel dossier L’attacco alle stalle italiane, è stata chiusa una stalla italiana su cinque, con la perdita di 32 mila posti di lavoro e «il rischio concreto della scomparsa del latte italiano e dei prestigiosi formaggi made in Italy, con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale».

«Attacco», con quel suo vago sapore di invasione o di guerra mossa dall’estero, non è una parola scelta casualmente: infatti Coldiretti dà la colpa alla sempre più preponderante quota di latte importato, che da quando il mercato è stato liberalizzato – dando addio alle famose “quote” (anch’esse non esenti da distorsioni) – sta facendo piazza pulita dei produttori italiani.

Bastano pochi numeri: nel nostro Paese le 36 mila stalle sopravvissute hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono circa 86 milioni i quintali importati: per ogni milione di quintale di latte importato in più, si calcola che scompaiano 17 mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura.

Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri – aggiunge l’organizzazione agricola – mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o con caglio provenienti dall’estero, soprattutto dall’Est Europa, «ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta». E la situazione per le stalle italiane rischia di precipitare nel 2015 – continua Coldiretti – con il prezzo riconosciuto agli allevatori che non copre neanche i costi di produzione e spinge verso la chiusura migliaia di allevamenti che, a breve, dovranno confrontarsi anche con la fine del regime delle quote latte.

Ed eccola, l’assurda formazione del prezzo del latte, che partendo dall’allevatore – cui viene riconosciuto in media 35 centesimi al litro – arriva a circa 1,50 euro sugli scaffali dei supermarket (elaborazioni Coldiretti su dati Ismea). Il prezzo del fresco moltiplica più di 4 volte dalla stalla al negozio, spiega Coldiretti, con un ricarico del 328%. Oltretutto, nell’ultimo anno è stato tagliato del 20% il compenso riconosciuto agli allevatori, mentre il prezzo al consumo è aumentato di qualche centesimo.

In altre parole – spiega Coldiretti per farsi capire – gli allevatori devono vendere 3 litri di latte per bersi un caffè al bar, 4 litri per un pacchetto di caramelle, 4 litri per una bottiglietta di acqua al bar, mentre quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette (meglio smettere di fumare in questo caso). Ma soprattutto il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali e sta portando alla chiusura di una media di 4 stalle al giorno. Un’accelerazione favorita anche dall’embargo deciso dalla Russia ai prodotti agroalimentari europei che «oltre a penalizzare le esportazioni dei formaggi tipici made in Italy, sta facendo arrivare in Italia il latte che gli altri paesi europei prima esportavano nel paese di Putin».

Il maximungitoio montato sulle piazze ha offerto una passerella a ministri, governatori e altri politici per una bella passerella, che per carità di patria risparmiamo al lettore. Il titolare dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha osservato che «c’è un problema di definizione del prezzo» e ha auspicato «che l’industria batta un colpo»: «Chiedo di fare uno sforzo, di riconoscere che in Italia i costi di produzione sono più alti. Noi come governo – ha concluso il ministro – stiamo attivando alcune iniziative, ne discuteremo la settimana prossima, mercoledì 11, al tavolo con la filiera lattiero-casearia».

Ma intanto sugli allevatori potrebbe cadere anche l’ultima scia delle multe per le quote (il sistema si chiude il 31 marzo 2015), perché il nostro Paese avrebbe sfondato il quantitativo assegnato dalla Ue per la prima volta dopo quattro anni in cui era stato «virtuoso». Ulteriori costi, quindi.