Non chiamiamolo orgoglio professionale, però prima di scoprire “tutto un mondo” – quello della coltivazione di cannabis – l’avvocato Lorenzo Simonetti ci era rimasto male quando durante un convegno antiproibizionista è stata tirata in ballo la sua categoria. Gli avvocati, “quelli che ci marciano e speculano sulle nostre sfortune…”. Non sempre è così, però è vero – ammette Simonetti – che impigliati come sono nelle strette maglie della legge sugli stupefacenti, quasi tutti gli avvocati alla fine patteggiano, e gli altri arrancano per giustificare il consumo di marijuana a scopo terapeutico. E le sentenze sembrano prestampate. Poche fanno eccezione, e una di queste è per certi versi “storica”: quella pronunciata dal tribunale di Milano che si riferisce all’assoluzione di due ragazzi difesi da Simonetti e dal collega Claudio Miglio.

Dunque, a partire da quel primo incontro con gli antiproibizionisti, lei ha deciso di “riabilitare” la categoria.

Diciamo che mi sono appassionato a una materia complessa. Sono avvocato penalista ma ormai, da quando ho proposto una sorta di convenzione con le associazioni antiproibizioniste, giro l’Italia per seguire questo genere di processi. In Italia sono pochissimi gli avvocati esperti di problematiche relative alla coltivazione di marijuana. E la legge sugli stupefacenti crea storture che hanno dell’incredibile.

In che senso?

Se entrano in una casa e trovano 5 di etti di hascisc o un barattolo di marijuana, e non ci sono in giro contanti o bilancini che possono far pensare allo spaccio, allora si può rientrare nell’ipotesi del consumo personale, se invece trovano qualche piantina si rischiano dai 6 ai 20 anni di carcere. Qualcosa non va. Del resto lo dice anche la sentenza che ha assolto i miei clienti: “… occorre considerare l’eventuale incongruenza logica di una decisione che, in caso di contestuale detenzione di foglie di marijuana triturate e di piantine destinate all’approvvigionamento esclusivamente personale, nonostante la rilevata inoffensività di entrambe le condotte per la salute pubblica, ritenesse meno grave la detenzione di foglie di marijuana pronte per l’uso di quella contenuta nelle foglie di nove piantine”.

E’ il caso di cui si è occupato lei?

Due fidanzati stavano litigando, erano le tre di notte e si sono presentati i carabinieri. Hanno sentito l’odore di una canna e i ragazzi stessi hanno mostrato le piantine. Nove avevano un basso grado di principio attivo (Tch), mentre altre nove avevano un principio attivo superiore a quanto stabilito dalla legge sugli stupefacenti. Io e il mio collega come argomentazione difensiva abbiamo sostenuto una questione di legittimità costituzionale per dimostrare che la coltivazione di cannabis per uso personale non è sempre reato, e il giudice ha assolto i ragazzi.

Ma una sentenza analoga non era già stata pronunciata dal tribunale di Ferrara?

Non proprio. Questa volta, a differenza di quel caso, le piante presentavano un principio attivo rilevante ma il giudice ha accertato come la condotta di coltivazione di cannabis non è sempre pericolosa per la salute pubblica. Condannare avrebbe significato violare principi costituzionali cardini del sistema giuridico italiano. Nel caso di Ferrara, invece, il giudice scrisse che la pubblica accusa non aveva accertato la presenza di principio attivo nelle piantine sequestrate.

Si può parlare di una sentenza per certi versi storica?

La decisione del Tribunale di Milano senza dubbio può aprire nuovi scenari per quanto riguarda il tema della coltivazione per uso terapeutico e per il cosiddetto uso ludico della marijuana, diciamo che si comincia a ragionare sul fatto che non si può sempre condannare chi coltiva piantine.

Sono tante le persone che si mettono nei guai per poche foglie?

Sa qual è il problema? La crisi. I ragazzi non hanno più soldi e invece di andarsi a comprare l’erba al parchetto vicino a casa, magari rischiando, si procurano dei semi e se la coltivano sul balcone. In tutta Italia proliferano i negozi che vendono semi di canapa, con poche piantine in casa una persona può risolvere il problema del consumo per uso personale.