Cecilia ha trent’anni. Mentre sgrana i chicchi di caffè appena raccolti assieme alla figlia di 5 anni mi racconta la sua storia. Per tutta la vita, come suo padre, come i suoi nonni, ha fatto la pescatrice e la «barrequera», la cercatrice artigianale d’oro. Come lei vivevano tutti i membri delle comunità lungo il corso del fiume Cauca, il secondo fiume della Colombia: le sue acque torbide fornivano alimento e sostentamento economico a migliaia di famiglie. Ma l’arrivo della diga ha stravolto tutto. «La nostra vita è cambiata brutalmente dalla sera alla mattina», racconta Cecilia. «Abbiamo sempre lavorato nel fiume, senza dipendere da nessuno, mentre invece adesso dipendiamo da quello che decide l’impresa costruttrice della diga, che ci impedisce di accedervi perché è diventato pericoloso. Questo ci costringe a rimanere in attesa di qualcuno che ci dia qualcosa. Non mi sarei mai aspettata di ritrovarmi cosi, senza avere da mangiare». Cecilia a causa della diga ha perso anche la casa: portata via dalla piena di un fiume che a farsi ingabbiare non ci sta. Ora paga l’affitto in una «urbanizaciòn». La comunità di cui faceva parte non esiste più. «Anche se avevamo cognomi diversi, eravamo una stessa famiglia. Ci conoscevamo tutti, se a qualcuno mancava zucchero, farina, caffè qualcun altro glielo dava: ora non sappiamo cosa ne è di loro, dove sono andati, se sono vivi o sono morti».

Incontro Cecilia, ma come anche Estela, Flor, Milena e diverse altre donne in una fattoria nei pressi di Toledo, dipartimento di Antioquia, nella parte nord del paese. Fanno parte di Amaru: nome di una Dea ancestrale della natura che fa anche da acronimo a Donne per la difesa dell’acqua e della vita. Sono madri, mogli, figlie la cui vita è stata stravolta dal mega progetto idroelettrico denominato Hidroituango. Hanno lasciato a casa i mariti e figli per radunarsi alcuni giorni a lavorare, confrontarsi, stare assieme. Raccolgono il caffè, preparano l’orto, discutono come andare avanti nella resistenza alla grande diga.

La diga del progetto Hidroituango fa la sua comparsa dopo diverse ore di saliscendi in autobus dalla città di Medellin: incastrata fra le montagne, gigantesca, sorvolata da corvi e nuvole, fa impressione. Specialmente in questo territorio di uomini a cavallo, case modeste e strade sterrate, dove il tempo sembra essersi fermato.

Hidroituango è l’operazione idro-energetica più grande e dispendiosa della storia della Colombia, un’opera pubblica gestita da Epm, Imprese Pubbliche di Medellin, la capitale del Dipartimento di Antioquia che la finanzia. Un progetto faraonico, deciso e portato avanti senza consultare la popolazione locale, che ha sbarrato il poderoso fiume Cauca con un muro alto 225 m e lungo 550 che dovrà contenere i 220 milioni di metri cubi di acqua che alimenteranno una centrale da 2400 MW. Il fiume Cauca è un gigante che accompagna tutti i colombiani da nord a sud, dalle montagne alle campagne alle città; si origina a 3200 mt di altezza nel pàramo , un particolarissimo ecosistema umido degli altipiani tropicali: da esso scende e scorre fra la cordigliera centrale ed occidentale per 1350 km , lambendo vulcani, formando valli e ricevendo numerosi altri fiumi, attraversando più di 180 municipi e 6 dipartimenti, per poi gettarsi nell’unico fiume del paese che lo supera in dimensioni, il Magdalena, che a sua volta sfocia nell’Oceano Atlantico. ll progetto di costruzione di una diga al km 135 da Medellin è andato avanti per la sua strada nonostante i rischi connessi alla specificità geologica della zona, soggetta a frane e terremoti, le pesanti ricadute ambientali in termini di inquinamento e alterazione degli ecosistemi evidenziato dalla valutazione di impatto stessa, e le conseguenze sulle abitudini di vita e la cultura della popolazione locale, oltre che sulla loro salute.

I lavori sono cominciati nel 2014, quando per costruire la mega diga il fiume Cauca è stato convogliato in due tunnel di deviazione; a partire da quel momento una catena impressionante di errori, sottovalutazioni, incidenti, catastrofi ambientali e sociali ha accompagnato la realizzazione dell’opera. Il culmine è stato raggiunto tra aprile e maggio 2018: a causa delle frane i tunnel di deviazione del fiume si sono ostruiti e l’acqua ha cominciato ad accumularsi a ridosso del muro della diga non ancora ultimato. Non riuscendo a liberare i tunnel l’impresa costruttrice per evitare il collasso della diga e una tragedia immane ha deciso di inondare la sala delle turbine, anch’essa non ancora terminata. Ma nel frattempo uno dei tunnel si è stappato in maniera spontanea inondando le zone a valle della diga. Animali e piante, decine di edifici e tre ponti sono stati travolti, più di 500 persone hanno perso la casa. Successivamente a causa di ulteriori complicazioni che mettevano a rischio la tenuta dei 20 milioni di metri cubi di cemento e roccia della diga è stato dichiarato lo stato di calamità e 9 mila persone sono state evacuate.

«Sembrano quelle di una città» dicono le donne di Amaru riferendosi alle luci della diga e del cantiere, che si vedono dalla fattoria dove sono radunate. Alcune di loro e le loro famiglie vi vivono permanentemente perché a causa del loro attivismo contro la diga hanno ricevuto delle minacce. Questo è un altro degli scopi della fattoria: un rifugio per gli attivisti che in Colombia rischiano anche la vita. Solo nel 2018 nel paese sono stati assassinati più di 220 leader di movimenti sociali. A tutte loro in qualche modo è stato fatto capire che potevano pagare caro la loro protesta. Anche a Cristina, fondatrice e portavoce di Rìos Vivos, l’organizzazione di cui far parte anche Amaru, che denuncia fin dall’inizio i danni provocati dal progetto idroelettrico. Cristina è nata nel paese Ituango e fu costretta ad andarsene a causa dei paramilitari quando aveva 14 anni. Ha studiato sociologia per capire il perché degli sfollamenti, dei massacri; le sue ricerche l’hanno portata alla convinzione che esiste una relazione fra il progetto di Hidroituango e il conflitto armato che ha martoriato la Colombia per decine di anni vittimizzando più volte lei e gli abitanti di quei territori. Il progetto della diga risale agli anni ’60. In tutti questi anni nell’area interessata dal progetto si sono verificati bombardamenti, uso di mine, scontri armati, occupazione di edifici, interventi violenti, con morti e feriti, della polizia e dell’esercito anche nelle proteste pacifiche contro la diga.

Proprio in questi giorni l’attività di denuncia di Rìos Vivos si è intensificata in seguito alla decisione dell’impresa costruttrice di chiudere le vie d’uscita dell’acqua. Ed è così che i primi di febbraio il fiume Cauca a valle della diga è sparito. Hanno fatto il giro della Colombia le immagini dei pesci agonizzanti nelle poche acqua rimaste (si calcola ne siano morti più di 65 mila), dei pescatori sconsolati e mobilitati per salvarne il più possibile; incalcolabili i danni per gli abitanti e per l’intero ecosistema. Il 14 febbraio scorso si si sono svolte manifestazioni in difesa del fiume Cauca in 15 città del paese, la capitale Bogotà compresa. Che Hidroituango sia un fiasco colossale, una cinica e sconsiderata operazione che attenta alla vita è ormai un’evidenza per tutti. Per Cristina, gli attivisti di Rìos Vivos, la popolazione locale, un numero sempre maggiore di esperti e per l’opinione pubblica nella sua maggioranza l’unica soluzione è lo smantellamento controllato dell’opera. Ma il governo della regione e i dirigenti persistono nella strumentale e sempre più grottesca posizione che la garanzia di sicurezza passa per il completamento della diga.