Colombia, elezioni all’ombra del crimine
Colombia Un’inchiesta rivela: almeno 152 candidati «sporchi» alle regionali di domenica
Colombia Un’inchiesta rivela: almeno 152 candidati «sporchi» alle regionali di domenica
L’ombra del paramilitarismo incombe sulle elezioni – regionali e comunali – che si svolgeranno domenica prossima in Colombia. L’inchiesta di alcune Ong (Fundacion Paz & Reconciliacion e Mision de Observacion Electoral – Moe -) ha reso noto che almeno 152 candidati sui complessivi 112.800 hanno legami con gruppi criminali. L’81% dei segnalati dall’indagine ha «un’alta probabilità» di essere eletto grazie all’appoggio dei principali partiti della destra, sia di governo che di opposizione.
L’omicidio politico, gli attentati a giornalisti e leader di opposizione sono purtroppo la cifra di una democrazia malata com’è quella colombiana, in cui gli spazi di agibilità politica in democrazia si sono chiusi dal 1948, con l’assassinio del dirigente progressista Eliecer Gaitan. E sono già diversi i candidati che hanno subito attentati. L’11 ottobre, è stato assassinato nel municipio di Suarez, nel sud del Cauca, un noto dirigente contadino del movimento Marcha Patriotica. Insieme al Congreso de los Pueblos, Marcha Patriotica ha deciso di presentarsi nell’alleanza Frente unico por la Paz.
Una decisione presa nell’ambito dei negoziati tra il governo di Manuel Santos e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc), che si stanno svolgendo all’Avana con la mediazione del Venezuela. Ora, con l’appoggio dell’Ecuador, anche l’altra guerriglia storica, quella guevarista dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) sta ufficialmente partecipando alle trattative, che cercano una soluzione politica al conflitto armato lungo più di cinquant’anni. La sinistra e i movimenti hanno votato il neoliberista Santos alle ultime presidenziali per sostenere il processo di pace. In Colombia, regionali e comunali indicano il cammino verso le presidenziali.
Le prossime si svolgeranno nel 2018 e per quella data potrebbero essersi definiti i termini del processo di pace, che prevede anche il rientro della guerriglia nella vita politica. Ogni precedente tentativo è sempre finito nel sangue e per questo le forze che sostengono la soluzione politica spingono per l’avvio di riforme strutturali. Il punto che riguarda la fine del paramilitarismo (sempre operante malgrado il dettato della legge) resta centrale e così è stato inteso ai tavoli dell’Avana.
In molti vorrebbero vedere alla sbarra l’inveterato sostenitore del paramilitarismo, l’ex presidente Alvaro Uribe. Uribe ha uno dei suoi principali bastioni nella regione di Antioquia e il paramilitarismo detta legge in alcune città di frontiera con il Venezuela, come Cucuta, dove prospera il mercato nero. Ma intanto, dove non arriva la violenza colpisce la lunga mano giuridica di Uribe, attraverso le sentenze del procuratore Alejandro Ordonez. Dopo aver inabilitato l’ex senatrice Piedad Cordoba, attiva nella mediazione che ha portato ai tavoli dell’Avana, Ordonez ha recentemente colpito anche il senatore del Polo democratico Ivan Cepeda: per aver visitato le carceri del paese, dove 1500 prigionieri politici sono in sciopero della fame e aver raccolto testimonianze per la commissione di inchiesta contro Uribe.
All’Avana, le parti hanno già portato a termine alcuni importanti accordi e sperano di poter firmare l’atto conclusivo a marzo del 2016. Intanto, all’interno del IV punto in discussione, è stato preso un reciproco impegno di grande portata, salutato per questo anche dall’Onu: quello che riguarda la ricerca degli scomparsi. La Colombia è uno dei paesi con il maggior numero di persone scomparse, una cifra che sfiora le 160.000: almeno 45.000 delle quali vittime di sparizioni forzate nell’ambito del conflitto armato. Tra il 1985 e il 2012, i desaparecidos sono stati 25.007.
Secondo la Croce rossa, parte in causa nella ricerca, il 70% delle denunce non ha prodotto risultati. Ieri sono stati identificati i resti di tre donne, scomparse nell’ambito dell’Operazione Antonio Narino, nel 1985. Allora, un gruppo di guerriglieri dell’M-19 occupò il Palazzo di giustizia nella capitale Bogotà, per protestare contro la violazione del cessate il fuoco da parte dell’esercito.
L’allora presidente Belisario Betancourt ordinò l’assalto all’edificio. Morirono 98 persone.
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