«Voglio trovare un modo di parlare ai miei simili che sia pacato piuttosto che infiammato, filosofico piuttosto che polemico, e che ci illumini anziché dividerci tra giusti e peccatori, salvati e dannati, pecore e capre». È con queste parole concilianti che Elizabeth Costello, la scrittrice australiana protagonista di The Life of Animals – nonché storico alter ego di J.M. Coetzee – introduce un crudo parallelismo tra lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento e l’abbattimento degli animali nei mattatoi. Un parallelismo che all’epoca fu percepito come oltraggioso e che suscitò polemiche infinite intorno all’etica del romanziere sudafricano, senza impedirgli, tuttavia, di ricevere il Nobel per la letteratura nel 2003.

Invecchiata ma indomita, quella stessa Elizabeth Costello (già riemersa nell’eponimo romanzo-saggio del 2003), torna ora in Bugie e altri racconti morali (traduzione di Maria Baiocchi, Einaudi, pp. 93, € 15,00) una raccolta di sette storie lapidarie che affrontano tutti i temi cari a Coetzee: l’entropia della vecchiaia, la difficile intimità tra genitori e figli, i diritti degli animali e le proiezioni degli umani, il conflitto tra le ragioni della mente e quelle del corpo.

Un cane molto odiato
Racconti morali benché – anzi, poiché – radicalmente non didascalici: distanti, cioè, dall’argomentare asciutto e intenzionalmente trattatistico delle opere precedenti, nelle quali Elizabeth esibiva la propria vis polemica in occasioni pubbliche, e tutti centrati sullo sforzo di tradurre gli antichi principi ispiratori della scrittrice nella pratica di una vecchiaia lontana dai riflettori e in armonia con il mondo. Ed è proprio il cambiamento della cifra emotiva a rendere questi racconti non soltanto l’esito del percorso intellettuale di Elizabeth, ma anche una sequenza di storie originali capaci di coinvolgere i lettori a prescindere dalla loro familiarità con i personaggi.
Significativamente, laddove il romanzo-saggio (Elizabeth Costello) si chiudeva su un simbolico abbraccio delle rane australiane – che nella stagione arida si lasciano seppellire sotto il fango ed entrano in uno stato di morte apparente – i Racconti morali si aprono con la dichiarazione dell’odio inveterato di una donna verso un chien méchant che le ringhia ferocemente contro da dietro un cancello ogni volta che lei gli passa davanti per andare al lavoro («Il cane»). Segno che per l’ottuagenario scrittore il rapporto tra umani e animali è tutt’altro che un argomento esaurito.

Cinque dei sette racconti sono costruiti sull’intreccio tra riflessioni etologiche e conversazioni intime tra i membri della moderna famiglia globalizzata di Elizabeth Costello, e da ognuno di essi emerge un dialogo, esplicito o sotterraneo, con la tradizione occidentale – Aristotele, Cartesio, Heiddegger, Derrida, Keats, Conrad, Kafka, Chekov, Musil, Rilke. Tuttavia, rispetto al passato, la nota dominante di questi racconti non è quella del logos ma quella del pathos e dell’empatia: «Che cos’è esattamente che rifiutiamo quando respingiamo la richiesta di una bestia che soffre? Rifiutiamo la nostra comune natura animale? Qual è lo status etico di questa strana astrazione: l’animalità?»
In «La vecchia e i gatti», Elizabeth abita una vecchia casa nel villaggio castigliano di San Juan Obispo dove, per nulla intimorita dagli sguardi minacciosi dei compaesani, si prende cura di orde di gatti selvatici e di Pablo, un povero esibizionista braccato dalla polizia e devotissimo al papa. Quando il figlio John va a trovarla per convincerla a trasferirsi a Nizza dalla sorella, la madre gli impone una conversazione surreale sulla «faccia» dei gatti e sui motivi che l’hanno spinta a voltare «le spalle alla mia tribù – la tribù dei cacciatori – per appoggiare quella delle prede».

«Quando una donna invecchia» è una retrospettiva sul passato e, sottotraccia, un dialogo con la poesia di Keats: «Che cosa mi ha dato di buono tutta questa bellezza? Non è forse un altro bene di consumo, come il vino? Il residuo del vino è, scusa il termine, piscio; qual è il residuo della bellezza? A che serve? Ci rende migliori?»
In «Mattatoio di vetro» il macabro progetto di un edificio dalle pareti trasparenti, che mostri tutte le fasi della macellazione, solleva dubbi sulla capacità umana di empatizzare con il dolore degli animali e conduce Elizabeth a uno stoicismo di rimessa che ha il sapore della sconfitta e della solitudine: «Gli animali non hanno bisogno del mio amore e io non ho bisogno del loro. L’amore umano è già abbastanza oscuro. Come sceglie i suoi oggetti l’amore umano? Non ne ho idea. Perché è così saturo di ambivalenze? Non lo so. E quanto più impenetrabili per noi devono essere i sentimenti degli animali! No, non mi interessa l’amore, ma solo la giustizia».

In sintonia con Ghosh
Ironicamente, l’anziana scrittrice che si è opposta per tutta la vita alla crudeltà verso gli animali giustificata dalla loro differenza, così come a una loro facile antropomorfizzazione, sembra scivolare verso l’identificazione, tanto irresistibile quanto scontata, tra animalità e vecchiaia. Ma Coetzee è scrittore troppo avvertito da trasformare tutto ciò nella morale ultima di questi Moral Tales. Lo scivolamento di Elizabeth Costello verso l’orizzonte della nuda vita sembra evocare piuttosto quella che Amitav Ghosh descrive come la nuova prosa del mondo: una letteratura dell’Antropocene capace di raccontare ciò che vive pur non essendo umano e di ripensare con lucidità e coraggio i nostri concetti di libertà, di globalità e di storia.