Altro che rilancio e riorganizzazione, inizia nel peggiore dei modi il percorso del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), così come ipotizzato nella legge di bilancio 2022. La manovra stanzia complessivamente 60 milioni di euro, di cui 10 finalizzati alle stabilizzazione dei ricercatori precari. Un importo insufficiente rispetto a chi ha maturato i requisiti. Saranno ottanta dal 2023. Queste risorse però sono state subordinate a un ennesimo piano di riforma dell’ente che sarà valutato da un organismo esterno. Un’idea che limita l’autonomia del Cnr, il più grande ente di ricerca del paese, ed esautora gli organi nominati dalla comunità scientifica interna. «Non accetteremo questa deriva – sostiene la Flc Cgil – Difenderemo la democrazia nella ricerca pubblica». Lettera 150, l’associazione di circa 300 professori universitari, ha espresso preoccupazione per la norma. «La gestione dei finanziamenti del Pnrr non può essere decisa da soggetti esterni ma deve avvenire nel rispetto degli organi statutari».

«L’amministrazione del Cnr oggi propone di assumere per quest’anno non più di 60 dei 350 tra ricercatori e tecnologi che hanno maturato i requisiti per l’assunzione. Il Cnr propone di rimandare al 2022 qualsiasi decisione, sconfessando così le numerose deliberazioni che governo e parlamento hanno espresso. Ci sono tutte le condizioni e le risorse affinché l’Ente nel giro di un anno possa assumere circa 700 tra ricercatori e tecnologi, consentendo l’esaurimento del precariato storico» sostiene Francesco Verducci (Pd). « Ora, però, è necessario che il Cnr proceda con le assunzioni dei ricercatori in graduatoria: ci auguriamo lo faccia in fretta» ha detto Alessandro Melicchio (Cinque Stelle) . «Non ci può essere un piano di rilancio senza confrontarsi con il mondo, altrimenti diventa un esercizio autoreferenziale di cui non abbiamo bisogno» ha risposto la ministra dell’università Maria Cristina Messa.