La bibliografia montaliana è imponente: la sua conoscenza richiede ormai forme di alta specializzazione, sempre nel timore che qualcosa sia tralasciato. Era imponente già col poeta in vita e, come non sempre capita, ha subito un’accelerazione nei decenni che separano dalla sua scomparsa. Bibliografia non tutta essenziale, per la verità. Che dunque ogni tanto si faccia il punto è cosa non soltanto utile ma necessaria, più utile quando il punto si fa in forma di commento, come nella serie che, prima negli «Oscar» e ora nello «Specchio», provvede a ristampare le singole raccolte con annotazioni funzionali alla lettura, fitte non soltanto per sciogliere i luoghi enigmatici di questa poesia ma anche per conseguenza della eccedente produzione critica. Ultima in ordine di pubblicazione arriva La bufera e altro, a cura di Ida Campeggiani e Niccolò Scaffai e con scritti ben noti di Guido Mazzoni, che ha diretto la serie (Il posto di Montale nella poesia moderna, uscito per la prima volta, 1998, negli atti su Montale e il canone poetico del Novecento, poi ritoccato, probabilmente da intendersi come editoriale per il compimento dell’impresa), Gianfranco Contini (Montale e “La bufera”, scritto nel 1956 e che poi trovò casa in Una lunga fedeltà, nel ’74, dopo aver albergato in Altri esercizî, ’72) e Franco Fortini (Di Montale, 1966-’74), in quest’ordine su copertina e frontespizio e nel libro (Mondadori «Lo Specchio», pp. CXVIII-422, € 24,00). Risulta utile trovare i tre saggi radunati insieme, ma ciò non passa in secondo piano la limpida introduzione di Scaffai che avvia con ogni informazione alla lettura, in maniera diversa ma complementare rispetto a quanto fa la stessa Ida Campeggiani nel Montale a più voci curato da Paolo Marini e da Scaffai stesso (Carocci «Studi Superiori», pp. 343, € 30,00), dove oltre ai profili delle singole raccolte, si affronta organicamente – per mano di studiosi di prim’ordine che qui, con rammarico, non è dato citare uno per uno – Montale nel primo e nel secondo mestiere attraverso importanti questioni: casi filologici, lingua e metrica, rapporti con italiani antichi e moderni e con stranieri, attività di prosatore e di critico letterario, rapporti con musica e arti figurative.
Dunque: il punto su Montale e in particolare sulla Bufera, ritenuta, non proprio a torto e almeno in taluni componimenti, la raccolta più oscura del poeta, e comunque la più misteriosa, per il protrarsi delle situazioni presenti nelle Occasioni ma proiettata già su quello che a distanza di un quindicennio sarà il quarto libro, Satura: eppure con una sua voce distinta, e con un’intonazione specifica e densa. Libro leggendario, dal momento che, in volumi di buona diffusione, Montale taceva dal 1939, l’anno, appunto, delle Occasioni. Uscito in prima edizione da Neri Pozza nel 1956 si era annunciato nel ’43 con l’avventurosa pubblicazione in Svizzera, per il tramite di Contini, di quella che diventerà la prima sezione del volume compiuto, Finisterre. Il libro è disegnato in una lettera a Giovanni Macchia nel ’49: «ti mando l’indice provvisorio del mio terzo e ultimo libro di poesie», allo scopo che Macchia scriva «una prefazione storica, di quelle che restano per lunghi anni». Soprattutto: «Sul titolo (Romanzo) ti prego di mantenere la più assoluta discrezione». Le cose andarono diversamente: il titolo fu un altro; il volume della Bufera, previsto come imminente, tardò a lungo; non fu l’ultimo libro di Montale e Macchia non ne scrisse la prefazione. Proprio Macchia ha raccontato la vicenda nello stupendo Il romanzo di Clizia nei Saggi italiani, 1983: lo dico casomai il lettore non dovesse riuscire a trovare il recapito nel mare magnum della bibliografia (dove si dà in preparazione – è una notizia – lo studio di un instancabile indagatore di cose montaliane, Paolo De Caro, su Iride, la «poesia oscura» di Montale quasi per eccellenza, sulla quale nell’83 si era provato acutamente Walter Siti in uno dei suoi ultimi studi di tipo «accademico»). A proposito della bibliografia, sia detto per inciso: fa impressione vedere a quanti luoghi occorra far ricorso per ricostruire l’epistolario montaliano (impressione non diversa arriva dalla sorte dell’epistolario di Saba: che era stato perfino composto nella sua interezza e consegnato all’editore dalla figlia del poeta).
Un commento alla Bufera era uscito, a firma di Marica Romolini, nel 2012, senza il testo dell’opera (lo si trova in open access sul sito di Firenze University Press); mentre per la sezione di Finisterre (versi del 1940-1942) risale al 2003 il commento di Dante Isella (se ne scrisse su queste pagine), che lo leggeva come capitolo-ponte tra Le occasioni e il libro a venire. Ora, completo di testo e di ogni strumentazione, abbiamo un invito a ripercorrere ancora una volta il libro che nel titolo allude alla guerra appena congedata, ma alludendo alla guerra richiama una nuova considerazione della condizione umana, non meno tempestosa. Si può dividere il campo poetico montaliano quasi come si vuole («Ciascuno ha il suo Montale / ritagliato a misura. / Vale quello che vale, / secondo natura e statura», secondo Caproni) e, con questo, leggerlo forse come non si dovrebbe («Ah cireneo Montale / la gloria molesta / del nostro leggerti male», secondo Giudici): la responsabilità è di chi legge. Non solo: ma induce a infinite considerazioni il «prodotto filologico senza precedenti, ai vertici della pratica ecdotica italiana del Novecento» che è l’Opera in versi, curata da Contini e da Rosanna Bettarini, che presenta un «“grande Canzoniere fatto di tanti libri”, “strano Canzoniere” d’amore centrato sull’onlie begetter Clizia» (come scrive Marini sulla scia della Bettarini nel Montale Carocci).
La bufera e altro è solo il romanzo di Clizia, come Montale suggeriva nella lettera a Macchia? È Macchia stesso a osservare che nel terzo libro di Montale «s’indovina una tensione segreta, la tensione che vorrebbe condurre poesie isolate l’una dall’altra, scritte in momenti diversi, in stati d’animo differenti, a farsi libro, a divenire libro (…). La bufera sembra un titolo felice (…) Montale è stato, più di Giove, generatore di nembi, un perenne suscitatore di tempeste (…). La seconda parte del titolo: e altro, prolunga e quasi corregge la prima. Mostra fin troppo chiaramente che quella parola non raccoglie il senso di tutto l’insieme». Montale «aveva definito scherzosamente i suoi Mottetti un “romanzetto autobiografico”. E disse anche che Le Occasioni era un libro “non meno romanzesco del primo”». Va tenuto sempre presente, ricordava Macchia, che «tutta la poesia di Montale è “una poesia con personaggi”». Non c’è canzoniere senza personaggio, «la cui memoria “fatigue le lecteur ainsi qu’un tympanon”. Al lettore della Bufera il suono dei reiterati colpi di quel timpano, che attraversano spesse cortine di nebbia, non sfugge». Lo si riconosce, come Laura, a frammenti (gli occhi o «la frangia dei capelli»), e spesso sovrappone più figure; e i simboli di ogni tipo, soprattutto vegetali, che accompagnano il personaggio «custodiscono il significato nascosto in quei nomi: Clizia, Iride». Irma Brandeis, dunque, la presenza misteriosa, prima che Contini, scomparso Montale, pronunciasse «pubblicamente quel nome (o più precisamente quel cognome)», come ricordò, pioniere, Luciano Rebay. Prima era Clizia, non Irma: Montale pose l’indizio delle sole iniziali a partire dall’edizione delle Occasioni del 1949, l’anno della lettera a Macchia e dell’idea del «Romanzo». Ora il commento, nel cappello a Iride, può annotare: «Irma è qui adombrata dietro al nome del giaggiolo (Iris florentina)». L’esempio sta a dire che i commenti corrono nel tempo e arrivano dove «la spugna non giunge»: segnano dove arriva oggi il nostro sguardo (senza dimenticare che cosa e come hanno letto i primi lettori di Montale).