Niente salvataggio del clima, a Lima. E’ un accordo di compromesso quello concluso ai supplementari fra i 195 paesi presenti alla Conferenza Onu sul clima (Cop 20) svoltasi nella capitale peruviana. Le mete prefissate erano due: approvare una bozza di accordo climatico globale da portare, nel dicembre 2015, alla Conferenza Cop 21 di Parigi dove sarà sostituito l’obsoleto – e limitatissimo – Protocollo di Kyoto; delineare un quadro strutturale per gli impegni di riduzione delle emissioni che ogni paese dovrebbe presentare all’Onu entro ottobre 2015.
Ma su entrambi i fronti, dal testo, l’«Appello di Lima per l’azione climatica», non esce nulla di vincolante, malgrado l’urgenza di contenere entro i due gradi l’aumento della temperatura globale. Del resto molti movimenti ambientalisti e sociali da tempo chiedono di fissare l’obiettivo a un massimo di 1,5 gradi. Secondo il comunicato delle reti per la giustizia climatica presenti nella capitale peruviana, «davanti all’emergenza planetaria causata da un sistema che persegue il profitto a scapito dei bisogni dei popoli e dei limiti della natura, un risultato importante a Parigi sarà reso ancora più difficile dalle debolezze del testo di Lima». Questo è stato approvato dopo che una precedente bozza era stata respinta dai paesi in via di sviluppo, i quali accusavano le nazioni più ricche di sfuggire alle proprie responsabilità di fronte al riscaldamento globale e di dimostrare grande avarizia anche di fondi.
Il testo riconosce le «responsabilità comuni ma differenziate, così come le rispettive capacità, sulla base delle situazioni nazionali». C’è una grande differenza infatti fra le emissioni storiche dei paesi, e anche fra quelle attuali (per dire, sono 54 le tonnellate annue pro capite di gas serra emesse dal Qatar e poche centinaia di kg quelle del Niger). La conferenza di Durban impegnava le nazioni ricche a sbloccare 100 miliardi di dollari all’anno – fondi pubblici e privati – per l’aiuto climatico alle nazioni ‘in via di sviluppo’ entro il 2020. Ma gli impegni vincolanti – morali e legali – per evitare le solite scappatoie, nel testo di Lima sono assenti. L’accordo al punto 4 semplicemente «invita» i paesi sviluppati a prevedere sostegni finanziari per azioni ambiziose di mitigazione e adattamento nei paesi colpiti. I paesi più vulnerabili – e meno responsabili – sono riusciti a far infilare (malgrado la netta opposizione degli Stati uniti) un vago riferimento ai «danni e perdite» da compensare. Ma è troppo poco.
Eppure, d’ora in poi anche il Sud sarà tenuto, oltre che ad adattarsi al cambiamento climatico che già subisce e che in parte è irreversibile, a ridurre le proprie emissioni: è caduta la distinzione fra paesi “sviluppati” del cosiddetto Annesso I (ai quali il protocollo di Kyoto assegnava obiettivi di riduzione vincolanti – ma ad esempio gli Usa non l’avevano firmato) e quelli non-Annesso I, non obbligati a tagliare.
Sul fronte degli impegni nazionali di riduzione nel testo di Lima è stata annacquata la parte delle azioni urgenti da compiere prima del 2020; eppure il taglio alle emissioni deve essere grande e rapidissimo, o i due gradi saranno superati di certo con conseguenze devastanti.
Insomma, dicono i movimenti, Lima lascia aperta la possibilità per ogni paese di decidere la linea che preferisce e di continuare ad agire nell’interesse delle corporations inquinanti, mettendo in atto scappatoie come il commercio dei diritti di emissione.
Di positivo c’è che quasi 50 nazioni concordano sulla totale eliminazione delle emissioni di carbonio entro il 2050. Il che equivale all’abbandono dell’era fossile.
Intanto l’anno prossimo la Bolivia sarà la sede dell’incontro mondiale dei movimenti sociali contro i cambiamenti climatici. Il precedente risale al 2010.