Mentre sale a undici il numero accertato delle vittime dell’alluvione che ha colpito le Marche mercoledì, Legambiente diffonde i dati della mappa del rischio climatico del suo Osservatorio Città Clima, con un focus sulle alluvioni e sul Centro Italia: da gennaio a settembre 2022 l’Italia è stata colpita da 62 alluvioni (inclusi allagamenti da piogge intense) contro le 88 in tutto il corso del 2021. Manca ancora l’autunno, che secondo l’associazione ambientalista «aggraverà ulteriormente il bilancio».

NON SONO INDOVINI, a Legambiente, hanno semplicemente memoria: dal 2010 a oggi nella Penisola si sono registrate 510 alluvioni (e allagamenti da piogge intense che hanno provocato danni), di cui 125 nell’area del Centro Italia, e precisamente 57 nel Lazio, 36 in Toscana, 26 nelle Marche e 6 in Umbria. L’evento estremo che ha colpito l’entroterra marchigiano nelle province di Ancora e Pesaro e Urbino è solo «l’ennesimo campanello d’allarme che il Pianeta ci sta inviando: con la crisi climatica non si scherza, servono interventi non più rimandabili» sottolinea

Legambiente, mentre i politici si accorgono che la cassa di espansione del torrente Misa, sopra Senigallia, non è mai stata realizzata nonostante i fondi stanziati dopo l’alluvione di otto anni fa. Per Legambiente, tuttavia, non sono le infrastrutture la prima risposta, urgente e necessaria, di fronte agli effetti del riscaldamento globale: il primo è infatti il Piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, «scomparso ormai da anni dall’agenda politica italiana», anche se siamo l’unico grande paese europeo a non averlo redatto e per questo rincorriamo «le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione che vada a tutelare le aree urbanizzate e gli ambienti naturali delle aree di pianura e montane».

IL PRESIDENTE di Legambiente, impegnato in questi giorni in un tour per presentare l’Agenda di 100 proposte per la prossima legislatura è categorico: «Non c’è più tempo da perdere. Serve aggiornare e approvare entro fine anno il piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, in standby dal 2018, praticare serie politiche territoriali di prevenzione del rischio idrogeologico, con una legge nazionale contro il consumo di suolo (che nel 2021 è tornato a correre, al ritmo di 19 ettari al giorno, ndr) e interventi di delocalizzazione, e promuovere campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone».

IL PROBLEMA È CHE L’ITALIA è sempre più soggetta a eventi climatici estremi: nubifragi come quello capitato nelle Marche, ma anche trombe d’aria, ondate di calore, forti siccità, grandinate sono ormai in forte aumento e colpiscono soprattutto le aree urbane causando danni ai territori e mettendo a rischio la vita dei cittadini.

STANDO AI DATI dell’Osservatorio Città Clima curato dall’associazione ambientalista, da gennaio a luglio 2022 si sono registrati in Italia 132 eventi climatici estremi, che è un numero più alto rispetto alla media annua dell’ultimo decennio. Preoccupante anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a luglio 2022 nella Penisola si sono verificati 1318 eventi estremi, con impatti molto rilevanti in 710 comuni italiani. Eppure l’urgenza di rispondere non è percepita. In campagna elettorale si è parlato di temi ambientali solo in relazione alla crisi di approvvigionamento di gas, come hanno spiegato Greenpeace e Osservatorio di Pavia.

Sono trascorsi più di 4 anni, ricorda Legambiente, da quando l’allora ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti pubblicò in bozza il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. «Malgrado l’accelerazione evidente dell’emergenza climatica il Piano non è stato ancora approvato, nonostante siano passati nel frattempo 3 governi (Conte 1 e 2, Draghi) e 2 ministri (Sergio Costa e Roberto Cingolani)» ricorda Ciafani. L’approvazione del Piano potrebbe tra l’altro guidare l’utilizzo delle risorse del Piano nazionale ripresa e resilienza per realizzare opere rispondenti alle urgenti politiche di adattamento.

SECONDO LEGAMBIENTE oltre al clima bisogna intervenire in modo più efficace per la prevenzione del rischio idrogeologico, che è noto e mappato. Difficile, forse, far comprendere che tra gli interventi essenziali ci sono anche la delocalizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi più a rischio. Tra le altre misure essenziali, secondo Legambiente, anche il divieto di edificazione nelle aree a rischio, la riapertura dei fossi e dei fiumi tombati nel passato (una delle cause dell’inondazione di Cantiano), il recupero della permeabilità del suolo sostituendo asfalto e cemento. Serve, infine, un’attenzione straordinaria alla cultura di convivenza con il rischio, «per informare e formare i cittadini sui comportamenti da adottare in situazioni di emergenza». Perché i disastri non si trasformino in tragedie umane.