Non si può dire che Tiberio Claudio Druso, quarto imperatore romano, abbia goduto di grande considerazione presso i suoi contemporanei. Perfino sua madre, Antonia minore, se voleva offendere qualcuno diceva che «era più stupido di suo figlio Claudio»; e quella malalingua di Seneca – se è veramente suo il libello noto come Apocolocyntosis – ridicolizzò la decisione del senato di concedergli la divinizzazione post mortem: al massimo, secondo lui, poteva aspirare alla ‘zucchificazione’ (questo significa il titolo in greco dell’operetta), essendo la sua testa vuota come una cucurbitacea essiccata.
La mostra Claudio Imperatore, che fino ad ottobre sarà possibile visitare nel Museo dell’Ara Pacis a Roma, rende invece a Cesare quel che è di Cesare.
Curata con il consueto rigore da Claudio Parise Presicce e da Lucia Spagnuolo (con la collaborazione di Orietta Rossini), è la filiazione diretta – ma non pedissequa – di quella realizzata dal Musée des Beaux-Arts di Lione, con l’intento di omaggiare un concittadino illustre. In quella che era allora la capitale delle Gallie la madre si trovava a risiedere mentre suo marito Druso era impegnato nella conquista della Germania, e lì nel 10 a.C. partorì Claudio, che sarebbe stato così il primo imperatore a nascere fuori d’Italia.
La mostra romana eredita da quella lionese alcuni importanti prestiti ma altri ne aggiunge (tra questi un ritratto di Germanico, fratello di Claudio, di proprietà della Fondazione Sorgente Group, qui esposto per la prima volta). Non tace sui difetti fisici e morali che la storiografica antica attribuì all’imperatore (dipingendolo balbuziente, claudicante, pavido, irresoluto, fantoccio nelle mani di mogli e liberti) ma non si adagia negli stereotipi. La messe di documenti iconografici, epigrafici e materiali (sono circa 170 i pezzi esposti), ci fa vedere, insieme alle ombre, anche le luci dei quasi quattordici anni (dal 41 al 54 d.C.) in cui egli regnò. Il visitatore scoprirà una personalità di insospettata complessità, e ne rimarrà sicuramente intrigato. Dei risultati dell’attento riesame critico della documentazione dà conto anche il catalogo (L’«Erma» di Bretschneider, pp. 322, € 38,00), che con i suoi saggi di specialisti di vari paesi costituisce una messa a punto utile anche agli studiosi.
La prima parte della mostra illustra le relazioni di parentela di Claudio, ragguaglia sulla città in cui nacque e ricostruisce le circostanze per le quali egli, contro ogni ragionevole previsione, a cinquant’anni suonati ascese al soglio imperiale. Si sa che tutti coloro a cui Augusto aveva pensato per la sua successione non gli sopravvissero. La terribile moglie Livia non arretrò davanti a nulla pur di spianare la strada a Tiberio Claudio, suo figlio di primo letto, il quale diede inizio alla dinastia giulio-claudia. A Tiberio successe Caligola, figlio di Germanico e quindi nipote di Claudio. Caligola sbeffeggiava crudelmente in pubblico quello zio goffo, tutto dedito a seriosi studi di antiquaria. Claudio lasciava fare, trovando più conveniente – come riporta Svetonio – passare per uno sciocco inoffensivo agli occhi del sospettoso nipote. Quando finalmente Caligola, dopo aver disgustato tutti con il suo folle dispotismo, fu ucciso in una congiura di palazzo, quasi tutti i membri della famiglia giulio-claudia erano morti o troppo piccoli per succedergli. Restava quel Claudio che, per quanto poco brillante, era pur sempre il figlio di Druso e il fratello di Germanico, due personaggi la cui memoria era ancora venerata. Si disse che gli stessi soldati che avevano trucidato Caligola lo avevano scoperto nascosto dietro una tenda, e che mentre implorava di non essere ucciso anche lui lo avevano salutato imperatore (fu il primo princeps a essere eletto dai pretoriani). In mostra è esposto il quadro di Charles Lebayle (1886) che ritrae la tragicomica scena, ma sarebbe stato bello vedervi affiancati quelli di Sir Lawrence Alma-Tadema con lo stesso soggetto.
L’«imperatore per caso» (mirabili casu, chiosa Svetonio) si dimostrò peraltro non indegno del suo ruolo. In politica estera ampliò i confini dell’impero annettendovi ben cinque nuove province. In politica interna si mostrò aperto e lungimirante. La Tabula Claudiana, un’iscrizione su lastra di bronzo trovata a Lione nel Cinquecento e qui esposta con efficaci sussidî audiovisuali – ma accattivanti elementi multimediali sono accortamente utilizzati anche in altri punti del percorso –, riporta il suo parere favorevole alla presenza nelle sedute del senato anche di senatori non italici. Con esempi tratti dalla più antica storia etrusca (di cui era cultore) e romana, Claudio ricorda che l’inclusività era sempre stata una caratteristica dello stato romano e una delle ragioni della sua prosperità (una lezione su cui oggi sarebbe bene meditare).
La mostra dà spazio ai grandi lavori pubblici voluti dall’imperatore, tra cui la costruzione di un nuovo acquedotto per Roma; la realizzazione di un bacino portuale di oltre 200 ettari a nord della foce del Tevere, che fu il polmone dell’approvvigionamento annonario della capitale; la regimentazione del lago del Fucino, che rivitalizzò l’economia della Marsica.
In materia di religione Claudio mostrò per gli antichi rituali caduti in disuso uno speciale interesse che gli veniva dai suoi studi eruditi. Volle poi aggiungere al culto del divo Augusto quello della consorte Livia, che era anche sua nonna, aprendo così la serie delle imperatrici divinizzate.
Ammodernò l’amministrazione statale creando una burocrazia professionale, a capo della quale mise dei liberti imperiali. Alcuni di loro, divenuti potentissimi, ebbero un peso nelle vicende politiche del principato e perfino nella vita privata dell’imperatore. Quest’ultima fu molto movimentata a causa delle sue mogli, in particolare la terza, la famigerata Messalina, e la quarta, la temibile Agrippina.
Messalina, più giovane di Claudio di ben 35 anni, è passata alla storia per il suo insaziabile appetito sessuale, che avrebbe sfogato, secondo Tacito e Giovenale, nei bordelli della Suburra dove si prostituiva in incognito. Non si preoccupava di nascondere a corte le sue tresche, ma quando giunse a inscenare pubblicamente un ‘matrimonio’ con uno dei suoi amanti, Claudio stimò che la misura era colma e incaricò il liberto Narciso di eliminarla.
Per risposarsi, stavolta con Agrippina, che era figlia di suo fratello Germanico, Claudio dovette superare degli ostacoli legali, ma mal gliene incolse, se è vero che fu proprio lei a eliminarlo con un piatto di funghi velenosi.
Il cinema si è interessato fin dai suoi esordi a Claudio e alle sue donne. Un saggio di Gwladys Bernard compreso nel catalogo ne ripercorre le tappe, mentre in mostra si possono gustare alcune chicche: una clip dell’Agrippina di Guazzoni (1910) e un’altra dell’I,Claudius, il film tratto dall’omonimo romanzo di Robert Graves che Josef von Sternberg aveva iniziato a girare nel 1936 ma che non fu mai completato. Nel ruolo di Claudio c’è un Charles Laughton praticamente perfetto.

Charles Laughton in “I, Claudius” di Josef von Sternberg”, 1937

 

Il romanzo di Graves ha avuto in seguito molte altre trasposizioni. La più fedele è la serie prodotta dalla BBC nel 1976, che riabilita completamente il protagonista, facendone un politico accorto e probo, che addirittura vagheggia di ripristinare il regime repubblicano.
La mostra dell’Ara Pacis non arriva a tanto, ma certo ci dà un ritratto dell’uomo tutt’altro che caricaturale e sostanzialmente più attendibile.