Claudine Auger quando appariva era festa. La portava con sé, con la sua profonda voce di gola, la sua risata, il suo passo avventuriero, la faceva per gli amici, non solo con la presenza, ma con l’idea che aveva portato in regalo. Ti trascinava via con sé, o trasformava l’ambiente in cui ti trovavi. Era la sua specialità. Ti faceva sentire la sua presenza, come se la tua fosse il vero regalo.
Quando viaggiava, e lo faceva molto, ti chiamava dal volo su cui si stava imbarcando, o dall’albergo che stava lasciando, e solo a poco a poco ti accorgevi che in realtà non la vedevi più da mesi e che a punteggiare la sua assenza c’erano solo queste telefonate veloci, frettolose, che sembravano annunciare un incontro imminente.

Qualche sua amica finiva per protestare: «Invece di chiamarmi da Timbuctù, fatti vedere una volta, trova il tempo..». «Sì, certo cara! – immagino che rispondesse – Questa volta non ce la faccio, ma la prossima ci vediamo di sicuro!». Ma anche la prossima era una telefonata.

ADESSO, che non la vediamo da anni, che sappiamo poco o nulla di lei, perché non si fa raggiungere, adesso che non c’è più, perché è morta a Parigi, mi rendo conto che non poteva sopportare un incontro malinconico nella hall di un albergo, una colazione rapida al «restaurant du coin», quegli incontri che servono a testimoniare la permanenza insoddisfacente dell’affetto, o la richiesta di informazioni («Stai girando qualcosa? Hai qualche progetto? E tu stai scrivendo?»), quando la sua testimonianza era ben altra, era l’effervescenza della vita, il salire glorioso verso un qualche trionfo.

Miss Francia nel 1958, quasi Miss Mondo (arrivò seconda) quello stesso anno, subito attrice, prima di teatro e poi di cinema, la ritroviamo due anni dopo nella serie James Bond, in Thunderball (Operazione Tuono), splendida Domino, accanto a Sean Connery. La sua stagione Hollywood che troncò per generosità, per fare film di cineasti italiani come Dino e Nelo Risi, Ettore Scola, Nanni Loy, Duccio Tessari, Roberto Faenza, o del suo compagno Jacques Deray. Esordì nel ’59 con Jean Cocteau, chiuse nel ’91 con Carlo Verdone.
Poi si è fatta dimenticare.
Ma non da chi ha pensato, una volta per tutte, che quella che lei rappresentava splendidamente era proprio la giovinezza.