Claude Lelouch ama la cornice : e mettersi in cornice. La prima che s’incontra, all’ingresso di ‘Les Films 13’, sua cine-cittadella all’ombra dell’Arc de Triomphe, è il manifesto del grande successo internazionale 1966 Un uomo e una donna : manifesto italiano. Lui riderà, sorpreso per la scoperta: « L’ho preferito alle affiches francesi, mi piaceva di più».

La seconda cornice è, nella sala d’aspetto, il lungo défilé di cineprese della sua vita di regista: « Ci sono tutte, dalla primissima, regalata da mio padre, all’ultima. Adesso giro con il telefonino, come ai funerali del mio amico Johnny Hallyday : un filmino privato, che ho regalato ai figli del cantante, attore per la prima volta con me, in L’aventure, c’est l’aventure, e l’ultima, Salaud, on t’aime ». Terza cornice, i ciak al soffitto, show stellare delle tavolette nere con le scritte in gesso di momenti-clou del set, nel salone dove, dietro a una massiccia scrivania, il cineasta appare: « Non c’è più un cm. libero qua, sono obbligato a espandermi sulle ultime superfici vuote… ». Eccoci faccia a faccia con la quarta cornice,  il contenitore-fabbricante di cornici, ‘belle frasi’ che ne  punteggiano i film (« ogni dialogo è un match, una sfida tra giocatori »), definizioni a effetto per lo spettatore, talora ribadite da voce off che le ripesca e ripete,  refrain a rischio baci Perugina. All’Institut du Monde Arabe, all’elegante cerimonia di premiazione dei Lumières (equivalente parigino dei Golden Globes: i riconoscimenti della stampa estera al cinema francese), Lelouch, premio alla carriera, s’è fatto a sua volta incorniciare: da una giovane violinista, che su improbabili tacchi a spillo rossi ha inanellato con l’archetto il celeberrimo Dabadabada di Francis Lai di Un uomo e una donna, e dal sincero elogio del suo ammiratore Radu Mihaileanu, che lo defnisce « il più femminile dei registi francesi». Tocca a Lelouch, accompagnato da Anouk Aimé, protagonista con Jean-Louis Trintignant di Un uomo e una donna 1 e 2, l’annuncio storico : il n.3, dal titolo Les plus belles années d’une vie, fuori concorso a Cannes « a 53 anni dal primo » e con un Bonus d’eccezione, Monica Bellucci, nata alla vigilia della prima ‘puntata’, nel ruolo della figlia che riavvicina i due antichi amanti.

Fisico asciutto, lo sguardo sempre all’erta, salubri abitudini (al FFM di Montreal, di cui nel suo studio son compressi l’uno contro l’altro i trofei ricevuti negli anni, si presentava a colazione alle 7 in punto ogni mattina, in tuta da ginnastica e scarpe da footing), Lelouch, i capelli appena brizzolati, 82 anni il 30 ottobre prossimo, è raggiante.

Storia d’amore con un ‘dopo’ di oltre mezzo secolo : un film malinconico, crudele ?

No, tutt’altro. Non è un seguito, né un epilogo. È una di quelle storie d’amore eterne, dove ci si innamora della persona giusta al momento giusto : non ha inizio nè fine, nè passato nè futuro. Ho avuto voglia di rivisitarla e di completarla : noi viviamo e lasciamo tracce, tutta la nostra vita. Volevo filmare queste tracce. L’unica cosa che ci appartiene è il presente. Ho una certa età – ride –, il film rischia di divenire un unicum nella storia del cinema : 53 anni dopo, lo stesso regista e gli stessi due protagonisti di nuovo insieme dentro la stessa storia. Chi ha questa fortuna ? A me pare un miracolo. Ecco, dovessi definirlo : è un film-miracolo.

I miracoli fanno anche paura.

Infatti, già l’idea del film ci ha fatto paura. Nessuno di noi tre ha mai avuto così paura. Ma la paura è una formidabile fonte d’ispirazione. Non bisogna aver paura della paura : soprattutto alla nostra età, quando, finalmente, non abbiamo più paura di dire o fare sciocchezze. Il film è pieno di tutto quel che non avrei osato dire o filmare anni fa.

Il soggetto ?

L’amore. È sempre il soggetto fondamentale : la forza del rapporto amoroso. Essenziale nell’esistenza. C’è chi preferisce il mare o la montagna. E chi sta a rincorrere i soldi. Che idioti, che illusi. È l’amore la sintesi di tutte le nostre preoccupazioni : il soggetto universale. Ho trascorso la mia vita a rincorrere l’amore, che è di una fragilità assoluta : non c’è nulla di più fragile. È il momento in cui noi, che tendiamo a amare più noi stessi che gli altri, possiamo finalmente amare più gli altri di noi stessi. È il cuore il motore dell’umanità. I soldi ne sono, al massimo, un carburante.

Come arriva a concepire e narrare le sue storie grande schermo ?

Ciascuno di noi ha una propria storia, da condividere con la vita, che è attorno a noi e entra nei nostri personalissimi percorsi. Ho sempre lasciato entrare la realtà nel mio mondo, nel mio cinema. Ci sono autori che non aprono la porta alla vita nei loro film, che raccontano solo le proprie storie, chiudendosi in laboratorio, come Bresson o Godard. Altri, come me o Sautet, lasciano scivolare nelle proprie esperienze le vicende altrui. È la vita il personaggio principale, il protagonista vero di tutti i miei film. Anzi, la vita è regista di noi tutti. Come la meteorologia, che ci condiziona, ci modifica e che non possiamo cambiare. Una maestra di regia, molto superiore a me: io ne sono un goloso vassallo-vampiro. Ci sono registi, come Antonioni, che devono spogliarsi della realtà quotidiana per esprimere se stessi. Io no.

Esempio ?

Se devo girare una scena con un’automobile in strada, l’automobile sarà vera, sarà vera la strada : per far entrare nel film quel che l’automobile e la strada ci regaleranno il giorno delle riprese. La realtà è una macedonia di generi, come vogliono essere i miei film. Se al bar vedo una bella ragazza, la vita mi si trasforma in film sentimentale. Se con lei ascolto dischi, diventa musical. Se la sera ci vado a letto, siamo al porno. Un film dovrebbe contenere tutte queste possibilità. Se si restringe a un solo genere, si autocensura, si priva delle possibilità che ha a portata d’occhio.

Oscurando il porno e focalizzando la fase2, il musical. La musica, per lei … ?

È un rapporto fisico: la musica è quanto di meglio s’indirizza all’inconscio, alla irrazionalità, che è la nostra parte migliore. Non parla alla intelligenza, di cui mi fido meno: la razionalità è limitata, è funzionale soprattutto al business. Esistono migliaia di corsi, di scuole per misurare e sviluppare l’intelligenza. Non ce n’è una per misurare e sviluppare l’inconscio. Attraverso la musica mi rivolgo non all’intelligenza che provoca riso o lacrime, ma all’inconscio dello spettatore. La musica è stata, con il cinema, una molla permanente. Per rifarmi delle prime delusioni di regista, ho realizzato a inizio 60 un centinaio di scopitones, gli antenati del videoclip, su star agli esordi, come Johnny Hallyday, Sylvie Vartan, Dalida, Jeanne Moreau… Esperienza per me fondamentale che mi ha fatto capire la forza della musica in un film.

Sin dall’esordio, è stato anche produttore del suo cinema. Perché ?

Ho avuto la fortuna di imbattermi subito in tre produttori idioti. E ho capito che dovevo sbrogliarmela da solo. Nel ’60 mi sono autoprodotto l’opera prima e ho fondato la mia società di produzione. Volevo chiamarla Les Films de l’Apocalypse, ma il notaio m’ha dissuaso : con questa etichetta, farai scappare tutti. E ha proposto : è il 13, sono le 13, Claude Lelouch è composto di 13 lettere. Nessuna allergia al 13 ? Che ne dici di Les Films 13 ? Detto fatto : in 60 anni, la cinquantina di miei film e una ventina da me prodotti e distribuiti, dalla versione lunga e sonorizzata nel ’70 di Napoléon d’Abel Gance a Far West nel ’73 di Jacques Brel, a Molière nel ’78 d’Ariane Mnouchkine.

Tra le magie alfabetiche della sua vita, c’è la ‘S’, iniziale dei nomi dei suoi figli. Ulteriore cornice ?

È l’iniziale del nome di mio padre, Simon, la persona che mi ha più capito, che mi ha insegnato di più, che mi ha costruito. I film e i figli sono quel che so fare meglio. Perciò, in ricordo di mio padre, tutti i miei sette figli hanno il nome che inizia per ‘S’, dal primo, Simon, a Stella, avuta da Alessandra Martinez. È mio padre che, dopo la bocciatura alle superiori, mi ha regalato la prima cinepresa, ora all’inizio della fila nella stanza accanto, perché mi lanciassi nei reportages giornalistici. Con quella cinepresa, nascosta sotto l’impermeabile, con miei strategici colpi di tosse a coprirne il rumore, sono stato uno dei primi a filmare la vita  quotidiana in Urss. È il reportage Quand le rideau se lève che mi ha dato i soldi per creare  la società di produzione e fatto scoprire, durante il mio soggiorno, gli Studi Mosfilm, dove Mikhaïl Kalatozov girava Quando volano le cicogne : l’inizio della mia febbre cinematografica. È allora che ho capito che la cinepresa era l’attore invisibile ma centrale di tutti i film della storia del cinema e lo sarebbe stato di tutti i miei film.

 

TRE TEMPI

1966. Primo grande successo di Claude Lelouch, il suo film vince – dabadabada – la Palme d’or à Cannes (ex æquo con Signore e signori di Pietro Germi) e due Oscar (film straniero e sceneggiatura originale). Fiammata di passione, con Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimée, Un homme et une femme racconta l’incontro e l’incendio d’amore tra Anne et Jean-Louis, entrambi vedovi, con bambina e bambino in pensione a Deauville cui rendono visita ogni fine settimana. « Abbiamo sempre una seconda chance : questo film d’amore ce lo mostra – spiega Lelouch – Mostra che la vita è più forte della morte. Il film è un omaggio alla vita ».
1986. Un primo seguito Un homme et une femme : vingt ans déjà riunisce di nuovo nello stesso luogo, Deauville, la stessa coppia-feticcio negli stessi ruoli della prima volta.
2019. Realizzata lo scorso autunno in appena tre settimane («per consentire a Jean-Louis Trintignant, 88 anni, malato, d’essere in piena forma durante l’intera durata delle riprese»), la terza volta di Un homme et une femme – co-sceneggiatrice Valérie Perrin, attuale compagna di Lelouch – aggiunge alla musica di culto di Francis Lail la voce e la canzone di Calogero : e, alla mitica coppia, Monica Bellucci.