Travestitismo, nudità, identità fluida in continua evoluzione, ricerca tecnica ed estetica, magnetismo delle immagini, composizioni artistiche potenti con al centro il corpo e la sua plasticità. Sono tutto questo insieme gli autoritratti seppiati e in bianco e nero di Claude Cahun, pseudonimo di Lucy Renée Mathilde Schwob, fotografa, scrittrice, attrice francese di origine ebraica, lesbica, comunista, classe 1894. Trentotto scatti dei primi del ‘900, per la prima volta in Italia, nella mostra 3 Body Configurations in cui Cahun dialoga con altre due artiste, Valie Export e Ottonella Mocellin, che indagano attraverso la fotografia il corpo femminile e il ruolo e lo spazio che occupa e rivendica nella società. Un corpo che è atto politico di emancipazione e autonomia.

LA MOSTRA, a cura di Fabiola Naldi e Maura Pozzati, riapre a Bologna fino all’undici giugno nella sede della Fondazione del Monte, dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria. Un’occasione unica per immergersi nella modernità di scatti intrisi di un immaginario surrealista, vere e proprie composizioni teatrali, quasi performance, che mostrano un corpo androgino, indefinito, neutro, che va oltre le categorie di genere. Cahun, che scelse il nome Claude proprio perché portatore al tempo stesso di maschile e femminile, appare rasata e rivolge sguardi intensi allo spettatore mostrandosi in pose di una modernità sorprendente.
Usa il corpo per giocare sull’ambiguità, l’identità e l’orientamento sessuale, fa del mascheramento un linguaggio espressivo, compiendo una ricerca su se stessa fuori da ogni regola borghese prestabilita. Resterà legata per tutta la vita alla compagna Suzanne Malherbe: un sodalizio politico oltre che artistico. Il suo primo autoritratto viene pubblicato nel ’29 sulla rivista Bifur, nello stesso anno elabora il testo autobiografico Aveux non avenus, partecipa alle attività dell’Association des Ecrivains et Artistes Révolutionnaires, collabora con i surrealisti, fa resistenza attiva contro i nazisti e si rifugia nell’isola di Jersey. Nel ’44 viene arrestata dalla Gestapo insieme alla compagna, i loro archivi fotografici sono andati in parte distrutti, dati alle fiamme perché considerati pornografici, condannate a morte ottengono una sospensione dell’esecuzione dopo una lunga prigionia. Le opere, salvate dalla razzia nazista, sono state recuperate da un collezionista e riunite nel museo di Jersey che dal ’95 conserva la più consistente collezione di scatti e materiali.

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IL PROGETTO ESPOSITIVO che riunisce tre artiste così diverse, prende il titolo da un lavoro di Valie Export sviluppato fra il 1972 e il 1982, anni in cui le donne alzano la voce. Attraverso il proprio corpo l’artista occupa, abbraccia e si inserisce nell’architettura, aderendo a scalini, angoli di muri come se fosse una decorazione di alcuni edifici viennesi. La presenza femminile irrompe e si appropria dello spazio politico urbano, abita spazi simbolo del dominio maschile, dichiarando una presa di possesso della sfera pubblica, negata per secoli, spostando la presenza dalla dimensione domestica a quella di strade, marciapiedi, scale.
Ottonella Mocellin con i suoi Corpi orizzontali nel paesaggio si mostra «calata» nei ruoli di casalinga o fidanzata, in situazioni di vita quotidiana, al mercato, al ristorante. Ci presenta una prospettiva orizzontale e, in un certo senso, sbilenca. In relazione all’azione che compie cade, perde i sensi, sviene, dorme, di fatto cattura un blackout fisico in cui i corpi si ritagliano uno spazio laterale in cui non dovrebbero stare.
Si tratta di un racconto a tratti ironico come lo scatto della fidanzata annoiata che a cena appoggia la testa sul piatto sotto lo sguardo del compagno. Una fragilità che diventa momento di forza e atto volontario, un’indagine sulla difficoltà delle relazioni affettive e i conflitti nei rapporti familiari.
«Una mostra filosofica più che politica – la ha definita Maura Pozzati, una delle curatrici – un azzardo anche aver accostato queste tre artiste». Una riflessione sul corpo configurato – ha aggiunto Fabiola Naldi, altra curatrice – attraverso le avanguardie storiche dei primi del ‘900 e le seconde degli anni ‘60/70 fino ai ’90 in cui l’idea di corpo è intesa come fuga, altro da sé, per espatriare dal proprio essere per scegliere altre cose.

LA FOTOGRAFIA è l’alter ego di Cahun per indagarsi come persona e come altro genere, altro sesso, particolarmente inteso verso il maschile. In quanto attrice di teatro surrealista usa la maschera come topos di travestimento che poi ha il coraggio di togliere per diventare Claude Cahun, un processo di portata rivoluzionaria».
La mostra – visitabile il lunedì e il giovedì, dalle 14 alle 18 – è narrata in un’interessante pubblicazione edita da Corraini in italiano e in inglese, con testi inediti delle curatrici e della filosofa Francesca Rigotti.