Com’era inevitabile dato il successo della tetralogia di Elena Ferrante L’amica geniale, il nuovo romanzo di Claire Messud, che sembra a propria volta raccontare un’amicizia femminile, è stato paragonato negli Stati uniti alla serie italiana. È un paragone infondato e quindi fuorviante: La ragazza che brucia (Bollati Boringhieri, pp.219, euro 16.50, traduzione di Costanza Prinetti) più che il racconto di una amicizia è una ballata sul lutto.

Julie e Cassie sono amiche da sempre, «sorelle elettive», tanto intime da condividere pensieri e emozioni sconfinando in una telepatia magica. Ma non si somigliano né fisicamente né per carattere e vengono da situazioni familiari opposte. Julia, la voce narrante, cresce in un ordinato nucleo middle-class. Cassie vive con la madre povera e vedova, con un futuro prevedibilmente meno brillante di quello che aspetta la privilegiata «sorella».

Nell’ultima estate del loro legame, quando hanno dodici anni, le amiche camminano sul confine labile che separa l’infanzia dall’adolescenza, subito prima che arrivi a dividerle qualcosa di indefinito. L’autrice evita di indicare con precisione di cosa si tratti, quasi oscillando nella stessa giostra di ipotesi che si affacciano alla mente di Julia, delle due quella abbandonata.
Per Julia la sua sofferenza deriva solo in superficie dall’appassire di un’amicizia intensa. In gioco è piuttosto il trauma provocato dalla fine dell’infanzia, e dalla conseguente scomparsa della bambina che era stata. «Diventare grandi significa imparare ad avere paura», commenta. In realtà significa molto di più: scoprire il peso delle differenze di censo, fare i conti con il sapersi ormai oggetto di desiderio e con i pericoli che questo implica per una ragazza, perdere le certezze legate alle figure degli adulti.

Claire Messud coglie le due protagoniste in tre momenti diversi della vita, a ciascuno dei quali è dedicata una parte del libro, anche stilisticamente molto diverse tra loro. Nella prima, assai influenzata da Stephen King, Julia e Cassie sono fotografate nell’ultimissimo scorcio della loro infanzia, già denso di presagi che la scrittrice materializza nell’escursione delle due in uno spettrale ex manicomio che era stato in precedenza albergo di lusso. Poi, nella seconda parte, irrompe la separazione, dolorosa e inspiegata, forse provocata dall’incontro tra la madre di Cassie e un nuovo compagno: una cesura che per la ragazza segna il commiato dall’infanzia vissuta in simbiosi con la madre.
È un lutto anche questo, più profondo e drammatico di quello che colpirà Julia, molto più arduo da elaborare e superare. Infine, in un epilogo che sfiora la tragedia, Julia, ormai sedicenne, riesce ad accettare la consapevolezza di vivere ormai in un mondo adulto in cui non ci si può più appigliare ad alcuna certezza. Forse il padre di Cassie è davvero morto, ma forse no. Forse la madre della ex amica è pazza, come gli ex ospiti del sinistro edificio.

Su un solo fronte Julia resta immutata. Continua a vedere Cassie speciale e meravigliosa, nonostante gli sferzanti giudizi delle nuove amiche, nonostante col tempo si riveli egoista e opportunista. Non si tratta di cecità. Julia continua a vedere la Cassie di un tempo perché quello è il suo canale di comunicazione con il passato, il filo sentimentale che la mantiene in contatto con ciò che lei stessa e l’amica erano, come potenzialità inespresse. Il ricordo di una Cassie scomparsa, che ormai solo lei riesce a vedere, è il talismano che le permette di sopravvivere al lutto permanente che accompagna la vita adulta.