Per risparmiare un affitto da 761.333 euro annui il museo nazionale di arte orientale Giuseppe Tucci (Mnao) in via Merulana a Roma verrà trasferito in un’ala dell’Archivio centrale dello Stato all’Eur dove pagherà un canone da 2 milioni e 200mila euro. I reperti, e le opere d’arte, oggi ospitati nei 4mila e 580 metri quadri al piano nobile del principesco palazzo Brancaccio, dovranno rientrare nei tremilasettecento mq in un’ala del palazzo delle forze armate, oggi sede dell’Archivio centrale. Non solo. Il museo dovrà condividere gli oltre tremila metri quadri con la direzione generale degli archivi di Stato, oggi in affitto in via Gaeta a Roma. Gli attuali quattromila e più metri quadri verranno così dimezzati all’Eur. E una parte delle opere oggi esposte a rotazione nel museo di via Merulana rischiano di restare nei depositi, inscatolate, lontane dal pubblico. Già sede del Museo nazionale di arti e tradizioni popolari e di quello preistorico-etnografico Pigorini, il ministro dei beni culturali Dario Franceschini prevede per quest’area un futuro da polo museale. Un sogno vecchio di trent’anni che si è scontrato con la realtà di un quartiere lontano e inaccessibile. I romani lo hanno ribattezzato il «cimitero dei musei».
Molte sono le voci su questo progetto, ma ancora poche sono le conferme ufficiali. Esiste però una commissione che sta stilando i preventivi sui costi del trasferimento. E il prossimo 12 novembre il piano generale dovrebbe essere finalmente comunicato ai sindacati.
Desolante spending review
Per comporre un quadro tanto ambizioso sarà necessario giustificare un’operazione che non può essere spiegata con il senso comune o con la semplice razionalità economica. Il ministero dei beni culturali (Mibact) dovrà versare per il museo Tucci un affitto triplicato per metà dello spazio. In più, il museo perderà la qualifica di Soprintendenza e di museo nazionale, cioè l’autonomia gestionale e scientifica, e passerà sotto la giurisdizione del polo regionale regionale secondo le linee stabilite dalla riforma del ministro Dario Franceschini. Il ridimensionamento sarà totale a danno della conoscenza delle culture islamiche, orientali e iraniche.
Secondo voci interne al Mibact, l’ala dell’Archivio di Stato all’Eur destinata ad ospitare la metà del Mnao e gli uffici dell’Archivio centrale ha bisogno di un’imponente opera di ristrutturazione che costerà tra 5 e 10 milioni di euro. Ci sono poi i costi di riallestimento: in base a preventivi realizzati da ditte specializzate sono pari a circa 1 milione di euro. Poi ci sono i costi di trasporto e imballaggio delle opere, calcolati tra 1 milione e 400 mila e 1 milione e 800 mila euro. Lo Stato spenderà così tra 11.822 milioni e 15 milioni e 83 mila euro. Resta da calcolare l’ammontare dell’affitto di palazzo Brancaccio in attesa dell’adeguamento dei locali all’Eur. Per tre anni di attesa il Mibact spenderà 2 milioni e 283 mila euro. Dunque, per risparmiare 761 mila euro all’anno, lo Stato potrebbe arrivare a spendere fino a 20 milioni di euro nei prossimi quattro anni. La spending review genererà nuovi costi passivi e aggiuntivi. Un affarone.
La passione per il mattone
L’assurdo sembra avere una logica. Il Mibact verserà i 2.200 milioni di euro all’Ente Eur posseduto al 90% dal ministero dell’Economia e al 10% dal sindaco Ignazio Marino con Roma Capitale. Quella che si sta prospettando non è tanto una partita di giro dove lo Stato (Franceschini) paga un affitto allo Stato (cioè al ministro dell’Economia Padoan), quanto un uso di questi fondi per altre operazioni immobiliari. Tra l’archivio di stato e il museo c’è più di qualcuno che pensa che una simile manovra sia la conseguenza di un atto della Corte dei Conti nel 2013. La magistratura contabile ha imposto al Mibact di tagliare di 2,5 milioni l’affitto da 7,5 milioni di euro versati all’Ente Eur per i locali dell’Archivio di Stato. Qualcun altro ritiene che un ruolo in questa vicenda lo abbia anche la Nuvola, il nuovo centro congressi progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas su un terreno di proprietà dell’Ente Eur. Su questo eterno cantiere, che il sindaco Marino vorrebbe inaugurare il prossimo primo maggio in occasione dell’inizio dell’Expo a Milano, la Corte dei Conti ha aperto un’indagine per danno erariale: in sette anni i costi per costruire un centro congressi più grande della Basilica di San Pietro sono aumentati di 55 milioni di euro. E ancora oggi nulla si sa sui tempi di consegna.
Questi e altri misteri finanziari avrebbe voluto risolvere il cavaliere solitario della spending review, Carlo Cottarelli. Senza riuscirci. In compenso ha lasciato una testimonianza significativa, scritta sul suo blog: «Ci chiediamo perché il Tesoro debba possedere ancora il 90% di Eur Spa, immobiliare che ha raccolto l’eredità dell’ente che doveva organizzare l’Esposizione universale del 1942 a Roma. Che ovviamente non si tenne mai, causa seconda guerra mondiale. Proprio qui sta il punto: le Regioni e gli enti locali hanno usato le società partecipate spesso per aggirare le norme statali, come il blocco delle assunzioni, alimentare il consenso o pagare dazi politici».
Lo scrigno
Tra progetti monumentali e misteri immobiliari, il futuro del museo di arti orientali sembra essere segnato. Invece di potenziare uno spazio cresciuto grazie a imponenti donazioni di archeologi, esploratori, ambasciatori e alla passione del fondatore Giuseppe Tucci si prepara una lenta sparizione programmata. Nato nel 1957, il Mnao verrà smarrito nei paradossi della spending review.
Da tre mesi i funzionari del museo, i sindacati e le scuole dell’Esquilino, il quartiere umbertino che negli ultimi vent’anni è diventato multietnico, non si danno pace. Hanno lanciato una petizione su change.org, organizzato manifestazioni con le scuole che ospitano i bambini delle comunità cinesi, pakistane, bengalesi, raccolto quasi duemila firme per fermare un treno che corre verso il precipizio.
Anche il comitato di quartiere della vicina Piazza Dante si è mobilitato. «Il trasferimento è osteggiato dal personale non perché l’Eur sia lontano dalle nostre abitazioni – si legge in un appello – ma perché significa sradicare il museo dal suo quartiere di elezione, dal suo naturale bacino d’utenza. Sarebbe come trasferire la Soprintendenza all’Etruria in Puglia».
Nella prima fila di questa battaglia c’è una donna appassionata. Si chiama Donatella Mazzeo. Dal 1980 al 2005 ha diretto il museo. Oggi è in pensione, ma percorre giornalmente i suoi spazi. Scrive, parla al megafono nelle manifestazioni a sostegno del museo, ricostruisce la storia di un bassorilievo o di una thangka tibetana con la stessa passione che mette nell’immaginare una nuova mostra. «L’ho visto crescere poco a poco, prima da funzionaria nel 1965 poi come direttrice – racconta – Lo spazio si è trasformato dopo i lavori di messa a norma tra il 1991 e il 1994. Questo palazzo è uno scrigno che ci ha regalato molte sorprese».
I lavori sono costati al ministero oltre 2 milioni di euro e hanno prodotto un valore che andrà perduto una volta trasferito all’Eur. In quell’occasione vennero eliminati falsi soffitti e pareti, costruiti in molti palazzi storici romani secondo una moda discutibile. E sono apparse le decorazioni e gli affreschi commissionati al pittore accademico Francesco Gai dal principe Salvatore Brancaccio e da sua moglie Elisabeth Bradhurst Field, discendente di una ricchissima famiglia americana di industriali dell’acciaio che finanziò la costruzione dell’immenso palazzo.
Oggi il museo è un miracolo di equilibrio: tra l’intimità dei vecchi appartamenti principeschi e le sale del Gandhara, del Tibet e del Nepal, della Cina o del mondo iranico o islamico. I legami tra il museo e le stanze realizzate secondo lo stile eclettico di fine Ottocento, tra liberty e un barocco variegato, è ormai saldato. Cinquant’anni di lavori li hanno resi inscindibili. «Spero che il museo resti qui – continua Mazzeo – pensi a quanto sia utile per le scuole che hanno i bambini i cui genitori sono nati in questi paesi ma che non avranno facilmente l’occasione di tornarci a causa anche delle guerre. Qui invece possono comprendere le origini delle loro culture».
L’agnello sacrificale
Il museo Tucci non rientra nei canoni della produttività. È dissonante rispetto alle intenzioni di creare spazi colossali che attraggono turisti, biglietti a volontà, mostre eclatanti che fanno notizia e diventano di moda. Il Mnao è un museo specialistico, che ha maturato una vocazione sociale man mano che l’Esquilino è stato trasformato dalle migrazioni. C’è una forte sintonia tra il fuori e il dentro che ha permesso di scoprire anche una missione storica: salvare la memoria di interi popoli dalle guerre dove opere d’arte e religiose vengono bombardate. Lo aveva compreso prima di morire nel marzo scorso Francesca Bonardi, la vedova di Giuseppe Tucci, che ha donato una raccolta di oltre 2 mila pezzi raccolti in anni di viaggi ed esplorazioni. Un valore superiore ai 5 milioni di euro. Ad una condizione: che il museo restasse aperto nel suo quartiere di adozione. L’ansia di conservare il ricordo di civiltà che stanno scomparendo, insieme al rispetto verso le comunità che crescono a Roma, oggi rischiano di essere tradite. «Al ministero devono sacrificare qualche struttura per far vedere al governo che stanno applicando la spending review – sostengono i lavoratori del museo – Quello che stanno facendo è assurdo, non ha né capo né coda. Il museo è diventato un agnello sacrificale».