Alla sua 24° edizione, Mittelfest sembra voler ritrovare, o ricominciare a cercare, l’ispirazione forte che l’aveva fatto nascere, appena prima dei tuoni di guerra che incombevano dai Balcani, e la Mitteleuropa appena liberatasi dal giogo dei Muri, sembrava curiosa e contenta di ritrovare le proprie storie e identità, assai lontana allora dall’attuale moda dei «nuovi muri». Mittelfest ha ora un direttore a pieno titolo nel musicologo Franco Calabretto, e questo fa solo pendere un poco a favore della sua disciplina la centralità del festival, mentre il teatro (nonostante la sua cura sia stata affidata a Rita Maffei del Css), sembra affannarsi con qualche ritardo al tema che vuole improntare l’intera manifestazione, ovvero «l’acqua». Con sette formazioni coristiche d’ogni tipo che hanno inaugurato e «benedetto» la città su partitura «acquatica»dell’austriaco Nussbaumer. Mentre in serata è toccato in piazza ai versi da tutta la Mitteleuropa di misurarsi sullo stesso tema. Dunque se in questa ripartenza di Mittelfest dopo qualche anno di narcosi burocratica, compaiono gli elementi dei presocratici a scandire questa e le prossime edizioni, chi prepara, o ha in armadio, spettacoli su aria e terra, è avvertito.

Al di là degli scherzi, non è un caso che lo spettacolo più forte e ricco di senso, sia stato quello del Belarus Free Theatre lo straordinario gruppo bielorusso che ha ormai la propria testa a Londra e la sua sede stabile a Kiev. È toccato a loro aprire la rassegna con Trash Cuisine, una sorta di invettiva, ironica e amara, contro la pena di morte e i paesi che ancora la adottano, primo tra tutti il loro. E contro la globalizzazione consumistica di questa e altre aberrazioni, i suoi attori restano consapevoli che sempre questo nasconde valori fasulli e scarsità di democrazia, oltre a produrre a sua volta violenza. Gli esempi portati in scena erano trasparenti, e se facevano perfino sorridere, nello stesso tempo scoprivano i punti nevralgici di uno stato dittatoriale che con eccesso di nonchalance viene annoverato tra le democrazie europee. Il gruppo ha perso ogni rischio di vittimismo e ogni desiderio di compatimento, e la sua aggressività sul quotidiano scopre una vocazione universalmente politica: non a caso nella Red Forest vista a Roma pochi mesi fa, l’ambientalismo si faceva planetario e senza eccezioni di applicazione e di responsabilità.

È stato un inizio forte, visto proprio che è il valore prezioso dell’acqua ad informare l’intero festival. E pertinente quindi si è rivelato la sera dopo il grande palcoscenico coreografico affidato alla più «acquatica» delle stelle di questo decenni, Carolyn Carlson, impegnata a danzare anche in prima persona. Non nasconde invece un qualche deterioramento della «politica» lo spettacolo delle Albe, Rumore di acque. È nato come un feroce e delirante monologo del colonnello presidente, Gheddafi, che straparla dalla sponda libica dei migranti che l’Europa non vuol raccogliere. Resta fortissima nello spettacolo la parte musicale, affidata a voci e strumenti dei magici Fratelli Mancuso, capaci di passare dalla memoria melodica siciliana a quella araba al di là del mare. Scoprendo in quest’ultima assonanze ed echi della musica sarda a canone: ne risulta una narrazione abbagliante e incontrovertibile del tessuto comune che vive e resiste tra popoli diversi sotto le acque (in questo caso davvero torbide) della politica internazionale.

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Più difficile a questo punto la teatralizzazione di Gheddafi resa da Alessandro Renda: per scoprire il ridicolo di quegli argomenti, basta oggi sentire Salvini in uno dei suoi continui interventi in tv. Mentre per motivi simili acquista spessore Il mio nome è Nettuno, viaggio storico/visionario di David Riondino che, su testo di Pietro Spirito, ripercorre dall’Odissea in poi molti avventurosi e sventurati ritorni e approdi, che si chiudono drammaticamente sullo squarcio della Costa Concordia e del suo comandante sugli scogli del Giglio.

Non tanto legato all’acqua, ma al genius loci che non solo il Friuli ricorda a quarant’anni dalla morte violenta, è il Pasolini che in controluce appare in Ma, ovvero la madre del poeta Susanna. Antonio Latella si è fatto scrivere da Linda Dalisi un testo (non privo di qualche svarione, probabilmente voluto) dove la sillaba Ma diventa il fondamento di «mamma» anche in senso artistico, dall’apparizione di Susanna sotto la croce del Vangelo secondo Matteo alla centralità che assume la Magnani materna di Mamma Roma. In quel Ma insomma prendono corpo radice e luogo di coltura della poesia e delle tematiche pasoliniane. È un’ipotesi forte e personale, come sempre più Latella ci ha abituato nelle sue ultime creazioni di questi anni, cui l’afflato poetico del caso conferisce però maggiori potenzialità rispetto ad altre occasioni. E certo impone all’interprete del monologo, Candida Nieri, un tour de force non piccolo.

Ma c’è stato un altro protagonista dell’intera cultura italiana a Mittelfest: Giuliano Scabia, di cui si sono festeggiati gli ottant’anni in questi giorni. Giovane e beato come fosse un ragazzo, resta il drammaturgo più fantasioso, poetico ed eversivo della scena italiana: davanti a lui l’intera città si è fatta palcoscenico, sotto il sole, per i suoi diavoli e i suoi animali, tutti toccati e animati dal genio di un grande visionario. Domani Mittelfest chiude, con uno Schnitzler inedito per l’Italia, Scandalo, con Stefania Rocca. E dopo l’acqua, toccherà agli altri elementi.