Pippo Civati, il suo amico Luca Pastorino, l’unico civatiano alla camera, lascia il Pd e si candida alle regionali liguri con uno schieramento di sinistra. Lei è ancora più solo?

È una scelta dolorosa, non stiamo mica giocando. Con Luca abbiamo condiviso fino in fondo il dissenso su molti provvedimenti del governo, la riforma costituzionale, il lavoro. Per lui questa scelta è un dolore doppio perché il partito ligure è un caso nel caso. Lì il Pd ha scelto di banalizzare tutti i problemi esplosi con le primarie. Cofferati se n’è andato e hanno fatto spallucce, il Pd ha spaccato il centrosinistra ma loro sono convinti di vincere lo stesso. La reazione di Luca e dei suoi è stata molto dura. Ma non solo quella di Luca.

È la scissione della sua corrente?

No, ma è la scissione di una corrente di elettori. È una diaspora. Non abbiamo il disegno strategico di staccarci dal Pd, e comunque di questo discuteremo tutti insieme. Ma in Liguria c’è stato un moto dell’animo collettivo di quelli che hanno detto: noi Raffaella Paita non la possiamo votare.

Vi diranno: così farete vincere la destra.

Casomai è il Pd che ha fatto partecipare la destra, sin dalle primarie. Comunque stiano sereni: gli elettori di Pastorino non voterebbero mai Paita. Se il Pd continua così diventa un’altra cosa: una cosa legittima, molto renziana, anche molto alla moda, per ora. Ma non una cosa di sinistra.

Insomma lei lascia il Pd?

No. Quella ligure non è una scelta di vertice. Certo lo spazio di discussione nel mio partito è sempre meno. Anche a sinistra. Dalle cosiddette minoranze mi aspettavo scelte più decise. Mi aspettavo che fosse possibile unire la sinistra, almeno quella del Pd. Mi aspettavo che sul jobs act fossero tutti un po’ meno ingenui. Se tutti quelli che lo criticavano avessero votato no sarebbe stata un’altra storia. Io soffro, e mi dispiace che si accomuni la mia posizione alla loro. Io ho votato no tante volte. Ora in Liguria è andata così, in Sicilia sono usciti in 600, domenica sarò ad un’iniziativa con loro. Che dire? L’ultimo spenga la luce.

Il Pd di Renzi non è messo male. Anzi.

No, ma i miei se ne vanno. Elettori, dirigenti. Faccio l’estremo tentativo di portare il confronto nel Pd con le forse di sinistra fuori dal Pd.

Sabato sarà all’assemblea delle sinistre dem?

Vado a fare le mie proposte sulla Costituzione. Ma non credo al rassemblement. Nella sinistra Pd ci sono posizioni molto diverse. Chiedo a tutti di essere più chiari. Alla camera, sulla riforma costituzionale sono stati sempre tutti d’accordo con Renzi, tranne Pastorino ed io. Poi alla fine hanno sollevato una questione politica: ma non si può dire che Renzi sta introducendo un sistema autoritario e poi votare sì. Chiederò coerenza.

Su cosa?

Sulle riforme. Chiederò che su alcuni punti si prenda un impegno chiaro e lo si mantenga fino alla fine. Una posizione con cui interloquire con il resto del partito e anche del parlamento. Non voglio un fronte anti-Renzi, che è una caricatura. Il punto è che se la riforma non va bene, non la si vota. Non si può cambiarla ogni volta al prossimo voto, anche perché ogni voto seppellisce la possibilità di modificarla. Ma le posizioni fra noi sono distanti. Quell’area ha esponenti al governo, non dimentichiamolo.

La posizione di Area Riformista sulle riforme è molto critica.

La posizione di Area riformista, per capirci quella di Speranza e Bersani, è che hanno votato sì alle riforme. Hanno ritirato i loro emendamenti. Se sei d’accordo su tutti gli articoli non puoi dire che non sei d’accordo sulla legge. Ora chiedono modifiche all’Italicum. Vedremo. Ma a questo punto non dovevamo arrivare. Ora c’è solo il western, ed io non voglio il western nel Pd. Anche perché so che il pistolero dell’altra parte è molto più veloce.

Non ha fiducia neanche nell’opposizione interna al Pd?

Sabato segnalerò il combinato della diaspora dal partito con il disagio su quello che fa il governo. Se alla fine non interessa a nessuno neanche là, ne prenderò atto.