Pippo Civati, lei ha detto – ma anche ha scritto su twitter e su facebook – che il governo Letta la preoccupa. Perché?

Perché noi del Pd stiamo sottovalutando il significato politico della scelta di fare un governo con Berlusconi. È una scelta che tocca profondamente le coscienze democratiche, ribalta l’impostazione che ci siamo dati fin qua e in più di un congresso. Non è che in un fine settimana possiamo prendere la decisione di cambiare la storia del centrosinistra, a prescindere da quanto durerà il prossimo governo.

Dopo il siluramento di Prodi, il Pd ha ribaltato la linea in un giorno. E alla direzione di martedì ne avete discusso poco.

Infatti non capisco: siamo il partito della settimana scorsa?

Quale, quello che affossa Marini o quello che impallina Prodi?

Appunto. Il governo di larghe intese per alcuni è inevitabile, un dato del destino. E noi passiamo per ingenui, barricaderi, indisponibili, indisciplinados o inadeguados. La verità è che questa soluzione l’ha procurata la parte del Pd che la voleva sin dall’inizio.

Chi? In questi giorni in molti lanciano accuse contro ignoti.

In campagna elettorale per settimane Bersani ha giurato sul governo di cambiamento. Ma intanto molti dirigenti dicevano altro. Poi, ai primi problemi di Bersani, c’è chi ha cominciato a parlare di governo di scopo. Ora siamo al governo politico, senza scadenza, con ministri politici. Chi ha votato contro Prodi voleva arrivare qui. E invece chi ha votato contro Marini, e lo ha detto, si era ribellato all’ineluttabilità delle larghe intese. Ma era un disegno: quando Vendola ha detto no a Napolitano, in molti stappavano bottiglie.

Lei voterà no al governo?

Ai gruppi mi opporrò in tutti i modi. E non mi sono piaciuti i richiami all’ordine di queste ore. Ma il punto non è quello che fa Civati. Il punto è come discutiamo. O pensiamo di nuovo di cavarcela con una riunione di un’ora? Berlusconi sarà il primo azionista del governo, anche se lo guida Letta. Perché noi abbiamo vinto per 120mila voti. Tolta Sel, la coalizione più votata è il Pdl.

Chiede un dibattito, ma oggi iniziano le consultazioni e la fiducia sarà in tempi strettissimi.

I gruppi parlamentari debbono valutare la proposta di governo. Cercherò di capire se il disagio è solo mio, se è minoritario, o se è di molti. Il mandato elettorale avrà pure un senso. A qualcuno dobbiamo rispondere della nostra linea.

È archiviato il governo e il programma di cambiamento.

Degli 8 punti di Bersani cosa rimane? Quasi niente. L’idea del cambiamento è sparita, come fosse un vezzo bersaniano. Siamo all’assurdo che quel po’ di cambiamento che ci sarà, ci sarà imposto dall’Europa. E i teorici delle politiche dell’austerità beneficeranno della fine dell’austerità.

Bindi è contraria, i giovani turchi non sembrano entusiasti. Si salderà un fronte?

Vediamo. I turchi hanno proposto Renzi premier, ma sulla stessa linea di Letta. Certo, Renzi sarebbe almeno stato più vicino alla terza Repubblica. Ma non discuto di nomi, discuto di politica. Una cosa era fare un governo istituzionale, a tempo o di scopo con il Pdl per fare tre cose e tornare al voto. Invece Napolitano lo ha detto chiaro: vuole un governo di legislatura. Basato su un’alleanza strutturale Pd-Pdl. Poi non ci lamentiamo se Grillo ci chiama “Pdmenoelle”. Ma li incontro solo io i signori che mi sfanculano per strada? Non mi pare.

Letta ha detto che si rivolgerà a tutte le forze politiche, in teoria anche alle 5 stelle.

Lei ci crede? Se ci riesce, chapeau. E poi i suoi in queste ore dicono tutt’altro: teorizzano le larghe intese. Come prima, del resto.

Nell’assemblea del 4 maggio si aprirà ufficialmente la battaglia congressuale. Resta candidato segretario?

Sì, e porrò il problema della gestione del Pd, in questi mesi. Sempreché non mi buttino fuori. Sono volate parole grosse contro di me e Barca.
Al congresso si troverà a scontrarsi con Renzi.

Renzi ha oscillato fra diverse posizioni. Certo è molto popolare. Sarà un bel confronto interno.
Renzi avrà forse al suo fianco anche i giovani turchi.

Vedremo. Le saldature fatte in fretta a volte non tengono. D’altro canto io, per esempio, non mi sarei aspettato di essere così d’accordo con Rosy Bindi.

Prima o poi nel Pd discuterete dei 101 voti anonimi contro Prodi? Sono stati deflagranti, ma sembra una vicenda archiviata.

Sembra archiviata perché chi ha votato contro Prodi perché lo considerava un baluardo contro gli accordi con Berlusconi, di fatto ha vinto. Alla fine ha avuto ragione: il Pd non voleva andare in quella direzione. Ma il problema di quei voti non si pone solo in termini di correttezza di comportamento. Così come quando in molti, metà parlamentari, abbiamo detto apertamente no a Marini, il punto non era disciplinare. Però dei 101 non si può parlare perché non si dichiarano.

Se dovesse votare no in aula, in nome della Carta d’intenti potrebbe essere cacciato dal gruppo?
Sarebbe l’unico capitolo della Carta di intenti che teniamo. Tutto il resto l’abbiamo stracciato.