«In un mondo contemporaneo la cittadinanza non può che essere composta di anime, nazionalità e culture differenti. Da persone nate sul territorio, magari, ma con genitori che vengono da lontano. Che sono nati in un posto, hanno studiato in un altro e per lavorare e vivere si son trasferiti in un altro ancora. Questo è oggi un migrante, l’elemento umano della globalizzazione. Ed è anche l’elemento costitutivo della nuova cittadinanza». Laura Boldrini torna a parlare delle necessità di rimettere mano alla legislazione che oggi regola il riconoscimento della cittadinanza agli immigrati di seconda generazione, giovani nati in territorio italiano da genitori immigrati (attualmente sono circa 700 mila). E per farlo il presidente della camera sceglie Lamezia Terme, tappa del suo viaggio in Calabria dove ieri ha partecipato alla cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria proprio a 400 bambini stranieri nati in Italia e residenti nel comune calabrese. Occasione perfetta per tornare a parlare di un tema che le è caro e sul quale è intervenuta più volte sollecitando – come ha fatto anche il presidente Giorgio Napolitano – il parlamento. «Il capo dello stato – ha proseguito infatti Boldrini – ha ricordato più volte ai partiti che i figli di immigrati nati in Italia sono parte del nostro tessuto sociale e che la legge sulla cittadinanza deve aggiornarsi ai tempi. Mi auguro che l’invito del presidente, che è anche il mio, possa essere ascoltato dai partiti uscendo dalla logiche di contrapposizione».
In realtà sono ormai settimane che in parlamento è al lavoro un intergruppo, di cui fanno parte tutti i partiti tranne la Lega, proprio per mettere a punto un disegno di legge comune che riveda la cittadinanza, mettendo ordine tra le circa venti proposte di legge esistenti. Al punto che, seppure ancora per linee generali, già ci sarebbe l’accordo su almeno alcuni punti principali. Due in modo particolare: la necessità di superare lo ius sanguinis, ovvero si è cittadini se si nasce da genitori di cui almeno uno è italiano, per arrivare a uno ius soli temperato, che permetta cioè ai bambini stranieri nati nel nostro paese di diventare cittadini se i genitori già vi risiedono regolarmente da alcuni anni (nelle varie proposta si va da un minimo di uno a un massimo di cinque anni), oppure al termine di un ciclo della scuola dell’obbligo.
Sulla stessa linea anche un progetto di legge già presentato dal Movimento 5 Stelle che prevede un obbligo di residenza per almeno uno dei genitori di tre anni, oppure che sia nato in Italia e vi risieda legalmente da almeno uno. Comunque sia, si tratta di modelli in tutto e per tutto simile a quelli già in vigore nel resto d’Europa. Come ha ricordato nei giorni scorsi anche il ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge che ha portato come possibile esempio da imitare la Spagna dove, ha ricordato, «bastano due anni di residenza per chiedere la cittadinanza e per far sì che i figli che nascono dalle coppie dove uno dei due risiede da almeno due anni possano avere la cittadinanza».
Le sollecitazioni fatte al parlamento dal presidente della camera non sono piaciute a Maurizio Gasparri, che ha rimproverato a Boldrini di essere entrata «a gamba tesa in un tema delicatissimo come quella della cittadinanza». «Non dovrebbe sfuggire al presidente della camera la terzietà del ruolo che ricopre», ha detto l’esponente del Pdl. «Affermare con determinazione – ha poi proseguito Gasparri – che vorrebbe la concessione automatica, quindi lo ius soli, è grave proprio in funzione del suo ruolo, essendo tra l’altro un tema già all’attenzione del parlamento, oggetto di diverse proposte». Critiche alla ministra Kyenge arrivano invece da Sel. «A maggio il ministro Kyenge aveva detto che lo ius soli era una priorità del governo», ha detto la deputata Marisa Nicchi. «Al meeting antirazzista di Cecina ha detto invece il contrario, sostenendo che lo ius soli “non fa parte delle priorità del governo”. Tra indecisioni e rinvii, il governo è in balìa della strana maggioranza che lo sostiene».