Il Veneto non è una terra facile a semplificazioni anche se il suo paesaggio dolce e regolare fatto di colline e pianure parrebbe riassumibile nella formula capannoni e prosecco. Ma questo non sarebbe altro che un banale stereotipo dentro al quale non pochi cadono, ma da cui si tiene ben alla larga l’ultimo romanzo di Carlo Pizzati.

Una linea lampeggiante all’orizzonte (Baldini+Castoldi, pp. 224, euro 18) sa decifrare con abilità e sensibilità quanto quella dolcezza a tratti monotona possa nascondere un rovescio violento e tragico. I protagonisti sono industriali e banchieri, giovani rampanti di provincia e donne stanche di essere troppo a lungo lasciate in secondo piano. Persone comuni della borghesia di una città di provincia – in questo caso Vicenza – che nascondono un passato poco chiaro tra le lettere strascicate e tenute lunghe di un dialetto che riaffiora dalla loro bocca quando le cose si fanno serie. L’italiano è infatti buono solo per la cortesia e per le frasi di facciata, il dialetto invece è la lingua quella vera, da usare per gli affari buoni e per quelli loschi. La lingua necessaria per capirsi al volo e senza ipocrisie. Il dialetto mischia il buono con il male e al tempo stesso riporta in vita.

L’ITALIANO dei protagonisti di Carlo Pizzati è volutamente rigido, è una forma artefatta che sta tutta in un atteggiamento che trae origine da un’emancipazione sociale ed economica rapidissima. Quella di un mondo contadino e affamato che per mezzo di una cultura più beghina che cattolica si è trasformato in una società ricca. Mauro il protagonista è un piccolo industriale, uno di quelli che ha fatto innovazione e che porta rispetto per il lavoro altrui e per le sue maestranze, ma è anche un uomo con un passato poco limpido.

Mauro ha così ostinatamente e radicalmente cancellato il suo passato dalla sua testa da sentirsene anestetizzato. Un po’ come quando viveva solo per farsi di eroina. Come questo possa conciliarsi con la facciata da ricco borghese, Pizzati lo racconta con precisione chirurgica.

Un’omertà che attraversa il passato di ognuno e ad ognuno offre la propria forma più o meno tragica di dipendenza, di ammutinamento dalla vita. Che sia la droga o la messa in scena di un successo tanto fragile quanto facile al fallimento. Una cinica assenza di memoria che trasforma le piazze e le strade in scenografie per una comunità inesistente fatta solo di incontri superficiali o in alternativa di fredde relazioni intime e fisiche frutto solo di qualche meschina minaccia o peggio ancora di qualche promessa, ovviamente di denaro o di carriera. Una linea lampeggiante all’orizzonte racconta la fine dell’ipocrisia e il ritorno della memoria per Mauro, per sua moglie Fabrizia detta tremendamente Fabby e per il suo amante – aspirante architetto in carriera – Gabriele. Un ritorno tragico che porterà tremendi stravolgimenti alle loro vite, ma offrirà finalmente la percezione di una realtà a portata di mano. L’inizio di una discesa dentro alla quale sarà difficile scorgere un lieto fine possibile.

PIZZATI attraverso un racconto che pesca abilmente dal genere noir restituisce con i suoi personaggi delle figure complesse di un Veneto e in parte di un nord Italia in cui a contare è sempre più l’individuo. Un individuo talmente allenato da anni di cinismo da essere ormai privo di ogni capacità di amore come di odio. L’assenza diviene infine la vera protagonista e del romanzo e l’unica possibilità per fuggire da un territorio abituato da troppo tempo a nascondersi da se stesso.