In una busta di plastica trasparente con i fori su un lato, da inserire in un classificatore. Ingrandita nel formato A4, a colori, stampata in una copisteria. Appesa ad uno degli esili colonnini di ferro che costeggiano il marciapiede e impediscono il parcheggio delle automobili. Al vento, alle rare, ma improvvise e inclementi, piogge degli ultimi mesi e ai raggi del sole torrido che l’hanno scolorata, l’immagine di un giovane dai bei capelli neri a onda. Scattata da un Iphone a una festa, la fotografia lo ritrae vestito per l’occasione. Il fiocchetto nero, la camicia bianca. Una giacca scura. Il gilet abbottonato. Quale l’occasione per ‘vestirsi elegante’?

Una cena di compleanno, forse. O una riunione tra compagni di scuola per festeggiare la fine dell’anno scolastico? O una ricorrenza speciale in famiglia, con nonni e parenti. Il ragazzo della fotografia non ha forse diciotto anni. Sul volto imberbe appena l’accenno di un sorriso, ma gli ridono gli occhi. Nella busta han fatto scendere un bottone con su scritto Vip Club 25 Kĉ Praha. Ricordo di una gita di classe? Dalla busta pendono i grani di due rosari e un braccialetto decorato di crocette. E il santino di San Gabriele dell’Addolorata. A ciascun colonnino di una fila di dieci, è legato un mazzo di fiori. I nastri e le carte sfrangiate del fioraio hanno perduto il colore. E tu vedi quei fiori spenti e secchi che ti danno il senso di un fieno riarso, di un’erba inaridita, fossero garofani gialli o dalie arancioni.

Due bouquet svettano intatti. Sono di rose bianche di seta made in China, aggiunti di recente ai fasci reclini e appassiti. Quelle dieci aste rivestite di fronde vizze, stanno innanzi a un muro dall’intonaco in parte caduto. Sullo scialbo ocra, con bombolette spray di vario colore, a più mani hanno scritto: «Si sta divinamente. Buon viaggio! ’r Dite amico nostro. Ciao Dite! 226 (cifre in giallo su un riquadro rosso e un mezzo arcobaleno). Le cose da dire sono troppe/Troppe volte fai a botte/Con una sorte che/È troppo forte (cuore viola attraversato da una freccia). Flow di coscienza. Dite (a lettere grandi celesti bordate di rosso con stelline gialle). Ti porto sopra le montagne russe… Ciao Dite? (un cuore). Ciao fratè (un cuore). I ragazzi del campetto. Semper fidelis. x sempre. Ti amo! 180 k/h. Ti voglio bene Dide from Ghedda (su un nastro). Dite 22/6». Su un biglietto da visita appuntato a un mazzo: «B.B.D. 4.20». E sul retro: «Eh fra, col tempo rimane questo!». E ancora «# senza piagne» (su un adesivo). E: «Ci vediamo presto fratellone» (su un nastro). «Resta sempre immenso come sei» (cuore). Al piede del muro, una accanto all’altra, perfettamente allineate, 148 bottiglie vuote. Di birra, di vino, di spumante, alcune con fiori secchi. E una lattina che fa da appoggio all’immaginetta d’una minuscola Madonna con Bambino, riprodotta da un’icona russa. Oltre il muro, tra gli alti tigli e i pini, si spande il frinire delle cicale di Villa Torlonia.

Non so nulla dell’incidente. Sbalzato da un motorino nel cuore di Roma? Ignoro quando sia accaduto. Sono qui, nel luogo in cui Dite ha incontrato la morte. Mi turba questo nome, o nomignolo, del ragazzo: Dis il Plutone dei latini che regna nell’Oltretomba e regge la città c’ha nome Dite (Inf. VIII, 68) nel basso Inferno di Dante. Sosto davanti all’effimero monumento funebre elevato con le bottiglie della movida e lo spray e i twitter dagli amici in sua memoria: siste viator, fermati passeggero. E rifletto sui molti interrogativi che mi prendono. Mi chiedo, tra l’altro, quali forme cultuali del lutto si affermino tra i giovanissimi di fronte alla morte di un coetaneo, al di qua delle liturgie delle confessioni religiose più diffuse. Come l’esigenza di una ritualità spontanea muova da codici di gruppo. Come risponda a un bisogno di riconoscersi secondo un gergo convenuto e cerimoniali interni. Mi colpisce questa fiducia in un patto di complicità che unisca in comitiva, restringa in un piccolo mondo. È un impoverimento?. È una diminuzione di consapevolezza? È indizio di una paura curata con comportamenti e primitivi segni, simili ai cascami e ai modi che distinguono le culture ingenue e subalterne?