La nuova frontiera per la conservazione della biodiversità di Europa, Stati Uniti ed Emirati Arabi è l’Africa orientale. Nelle terre dei Masai proliferano progetti di presunto turismo ecosostenibile e programmi di compensazione per le emissioni di carbonio. Tra Tanzania e Kenya, in migliaia sono vittime di violazioni in nome del colonialismo verde, sebbene proprio le aree abitate dai popoli originari risultino tra le meno inquinate del Pianeta. La conferma arriva dall’attivista Masai Yannick Ndoinyo, direttore esecutivo di Test, Traditional Ecosystems Survival Tanzania, e dall’antropologa dell’ong Survival International Fiore Longo. L’ExtraTerrestre li ha incontrati in visita a Roma.

Yannick Ndoinyo, lei ha compiuto un lungo viaggio dal distretto di Loliondo-Ngorongoro, nel nord della Tanzania, per portare la sua testimonianza diretta. Che cosa sta accadendo nel suo villaggio?

Il problema più grande è il furto di terra nel nome della conservazione. Le autorità e le organizzazioni per la conservazione dicono che è una questione di vita o di morte. Così ci rubano la terra. La usano per la caccia ai trofei, per il turismo fotografico e di lusso da parte di persone estremamente potenti, provenienti dai paesi del Golfo, degli Emirati Arabi. Persone, organizzazioni e governi provenienti dal Nord usano la conservazione per rubare la terra, finendo poi per usarla per il turismo. Che tipo di conservazione è questa? I Masai sono probabilmente le uniche persone a fare conservazione. Essere qui mi dà l’opportunità di spiegare che ne abbiamo abbastanza! Non possono continuare a rubare la terra degli indigeni usando una finta ideologia.

Chi c’è dietro questi presunti progetti di conservazione?

Viene promossa dalle organizzazioni della conservazione e dai governi stranieri. C’è il Wwf ad esempio. C’è la Frankfurt Geological Society (Fzs), un’organizzazione tedesca. È la prima a facilitare questo furto di terra, sin dagli anni ’60: ha preso il Serengeti nel 1969, ha preso Ngorongoro negli anni ’70, ha ripreso Ngorongono nel 2022, ha preso Loliondo nel 2022 e tutto questo continua. Danno la terra alle famiglie reali arabe per la caccia al trofeo a Loliondo, mentre a Ngorongoro usano la terra per costruire alloggi per i turisti che vengono soprattutto dall’Europa, Usa e Canada. Ora stanno promuovendo anche il turismo dall’Asia, da Cina, Giappone e India. I turisti europei non sanno cosa sta accadendo, vengono per fare un safari, vedono gli animali e paesaggi bellissimi, ma non sanno che da questi luoghi le persone vengono sfrattate, perseguitate, minacciate.

Com’è cambiata la vita del suo popolo?

A Ngorongoro vivono 120 mila persone, a Loliondo circa 100 mila. Il nostro stile di vita, la nostra identità, i nostri mezzi di sussistenza dipendono dalla terra. Siamo pastori. Senza la terra non possiamo dire di essere un popolo. La terra è parte di noi e noi siamo parte della terra. Quando ci viene sottratta, finiamo per scomparire completamente in altre comunità e perdiamo la nostra identità. Perdiamo i mezzi di sostentamento. Dipendiamo dalla terra per far pascolare le mucche. Se non abbiamo mucche, non possiamo venderle e quindi non possiamo mandare i nostri figli a scuola e non possiamo avere strutture mediche. È questo ciò che sta accadendo ora: dopo aver preso la nostra terra, ora si prendono anche le nostre mucche. Prendono le mucche, le sequestrano e le vendono, per renderci poveri. Usano la polizia, i militari, ci sparano per sfrattarci, arrestano le persone, tengono in carcere i leader per sei mesi. I Masai non costituiscono alcuna minaccia per la natura, conviviamo con essa da tempo immemorabile.

Perché è venuto in Italia?

Mi hanno invitato. Gli europei devono sapere che quello che succede a noi non è un caso isolato. Quello che fanno con la conservazione e il turismo ha un impatto sulle persone in Tanzania e in tutta l’Africa. Sono parte del problema. Tutto quello che si decide qui su conservazione, turismo e sviluppo ha un impatto sulle persone in tutta l’Africa. Questo modello di conservazione è una forma di colonialismo e deve cessare. Europei e americani non dovrebbero pensare di poterci insegnare come fare conservazione. Al contrario siamo noi che possiamo insegnarlo, ma non imparano nulla. Non so come abbiate potuto distruggere tanta biodiversità così velocemente dietro l’apparenza dello sviluppo. Io sono stato arrestato due volte. Mi controllano tutto il tempo, per il mio attivismo. Ci sono persone che sono morte o che sono sparite. I nostri padri e i nostri nonni già lottavano per la terra. La mia preoccupazione è che debbano farlo anche i nostri figli e le nostre figlie. Vogliamo che abbiano una vita dignitosa e che possano vivere con le loro famiglie nella loro terra, in pace.

Fiore Longo, lei ha contribuito alla stesura del rapporto pubblicato da Survival International «Blood Carbon: come un sistema di compensazione del carbonio fa milioni con le terre indigene del Kenya settentrionale». Cosa sta accadendo?

La soluzione di far fronte al cambiamento climatico creando aree protette ha un impatto sui popoli indigeni. Oggi le emissioni non vengono ridotte ma vengono compensate. Il vero cambiamento che si dovrebbe fare è mettere in discussione il paradigma della crescita economica infinita della popolazione bianca. Invece di ridurre le emissioni, il consumo, lo sfruttamento delle risorse e cambiare il modo in cui produciamo, creiamo questi progetti che distruggono lo stile di vita dei popoli meno responsabili della crisi climatica. Per questo parliamo di carbonio insanguinato. Abbiamo visto in Kenya un progetto chiamato rivoluzionario, uno dei primi di compensazione del carbonio basato sull’assorbimento dalla terra. Netflix e Meta, ad esempio, comprano questi crediti di carbonio per compensare le emissioni.

I Masai pagano le nostre colpe?

È un sistema perverso. Le persone meno colpevoli sono le uniche che stanno perdendo il loro stile di vita perché noi possiamo continuare a inquinare e a produrre cambiamento climatico. I Masai perdono a causa del cambiamento climatico perché la siccità è aumentata, perdono a causa delle false soluzioni perché vengono incolpati di qualcosa che non hanno prodotto, vengono sfrattati dalle loro terre ed educati su come pascolare. Sono società transumanti. Questo è il razzismo della conservazione. In Europa la transumanza è patrimonio culturale. In Kenya rovina i suoli. I popoli indigeni si trasferiscono nelle zone a più alta piovosità spostandosi per chilometri, ne percorrono anche 100 al giorno. Invece, così, vengono rinchiusi in aree ristrette. Nel frattempo il cambiamento climatico continua e loro perdono le mucche. C’è una recrudescenza del furto di terra nel nome della natura. È impensabile che riusciremo ad affrontare la crisi climatica se non cambiamo il nostro stile di vita.