Non aveva ancora compiuto trent’anni quando, nel 1964, affascinato dal gigantismo dell’arte americana, Christo accarezzò l’idea di impacchettare lo skyline di New York: di quella «razionale allucinazione» restano i disegni in cui i grattacieli di Manhattan sono avvolti in bozzoli di resistente tela. Poi la Grande Mela non fu più al centro dei progetti della coppia Christo&Jeanne Claude, almeno fino a quando venne colpita al cuore dall’abbattimento delle Torri Gemelle: i due artisti tornarono allora sui loro passi e risfoderarono l’idea che in realtà avevano silenziosamente coltivato per decenni. Ora si trattava di restituire gioia e bellezza effimera lì dove la cupa tragedia aveva preso la scena. Finalmente l’installazione Gates prese forma: 7500 cancelli animati da tende arancioni (100mila metri quadrati di stoffa). Simbolicamente, quei sipari ricucivano uno strappo traumatico, ma Christo non ha mai voluto dare letture politiche alla sua «visionarietà». Con indifferenza, ha sempre affermato che «ogni lettura della sua opera poteva essere legittima», ma che per lui e Jeanne Claude l’arte «era un viaggio (mai noioso) per attraversare la vita».

EPPURE, più di una volta quei suoi impacchettamenti di monumenti o «strade» fluttuanti sull’acqua, hanno incrociato la Storia e ne sono stati testimoni volontari. È accaduto con l’imballaggio del Reichtag di Berlino, pensato quando c’era ancora il Muro e poi realizzato 24 anni dopo, nel 1995 (con i capelli ormai imbiancati, migliaia di schizzi e molte arrabbiature alle spalle), vincendo burocrazia e i voti contrari in Parlamento dei detrattori del progetto, quando ormai la Germania era riunificata. Oppure con una delle primissime sculture open air, dopo gli imballaggi di autobiografici oggetti quotidiani degli Inventory: la barricata innalzata agli inizi degli anni Sessanta a Parigi, in una viuzza stretta, con Wall of Oil Barrels, The Iron Curtain, Rue Visconti, Paris. Il traffico si blocca di fronte ai barili di petrolio «firmati» dalle grandi multinazionali, scoppiano tensioni e il rimando è a quella parte di società che protestava contro la guerra in Algeria. In vista della mostra al Pompidou, slittata per l’emergenza sanitaria in autunno, e all’Arc de Triomphe Wrapped (programmato nel 2021, con teli argentati), Macron ha affermato di voler ricreare l’installazione, con tanto di deviazione dello scorrimento urbano.
Christo Vladimirov Javacheff – questo il nome completo – è morto nella sua casa di Soho a New York all’età di 84 anni. Era nato a Gabrovo, in Bulgaria, il 13 giugno 1935, nello stesso giorno di quella ragazza che incontrò a Parigi nel 1958 quando lui – fuggito dal suo paese su un carro merci, attraversata l’Europa e approdato in Francia – sbarcava il lunario come ritrattista e viveva in una chambre de bonne. Lei si chiamava Jeanne-Claude Denat de Guillebon, era venuta al mondo proprio il 13 giugno del 1935 (ma era nata in Marocco) e subito i due formarono una inossidabile «ditta utopica», affettiva e artistica, comprendendo anche il figlio Cyril.

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FINO ALLA MORTE di Jeanne-Claude, nel 2009, la coppia concepirà ogni progetto insieme, finanziandolo con un «capitalismo autarchico», vendendo i disegni e i bozzetti di Christo, senza sponsor, in piena libertà creativa. D’altronde, un suo schizzo su carta oscilla dai centomila a oltre un milione di dollari, ma le cifre accumulate sono sempre servite all’inverarsi dell’idea (e pure a pagare le tasse, diceva Christo col suo sorriso sornione). Il prezzo dell’opera da portare alla vita non può disturbare il desiderio. «Costerà quel che deve costare. Come per un figlio, non si può avere un budget prestabilito».
Tutto ha però una durata limitata: un lavoro titanico, spesso un’epopea che affronta le intemperie atmosferiche – tristemente famoso è l’incidente avvenuto nel corso di The Umbrellas in California, quando uno degli immensi parasole fu sradicato da un tornado, uccidendo una donna di 33 anni -, non arretra di fronte ai costi esorbitanti (pur se in proprio) e viene rigorosamente smontato dopo due settimane. Addirittura, Valley Curtain in Colorado nel 1972, la «tenda» stesa da una parete all’altra del Rifle Gap, sopra la State Higway 325, resistette solo 28 ore. Fu distrutta dal vento, ma un documentario registrò l’impresa.
Questo carpe diem, perseguito e ricercato, deve provocare «un’urgenza in chi vuole vedere l’opera – sosteneva Christo – Siamo bombardati dalla trivialità del ripetibile, quello che ci manca è proprio l’esperienza dell’unicità». Passati i giorni stabiliti, la squadra – lavoratori in regola, non volontari – che ha costruito il «sogno» lo smonta e nessuno può appropriarsi di qualche brandello d’arte (eppure, dopo l’impacchettamento del Reichstag di Berlino, intere porzioni di tela finirono al mercato nero, trasformandosi in feticci clandestini). La promessa etica è che nessun elemento della vegetazione né la fauna locale o una singola roccia sia disturbata dall’intervento più del tempo necessario. E la parola d’ordine è sempre il riciclo dei materiali utilizzati.

L’ARTE PER CHRISTO – che mal sopportava le etichette affibbiategli dai critici, non riconoscendosi nel Nouveau Réalisme né ritenendosi un affiliato alla Land Art, «area di movimento» che pure lambiva da vicino e accettava di buon grado – poteva infischiarsene di tutto ed essere meravigliosamente inutile. Presentarsi come interferenza poetica in un territorio preso in prestito, convincendo magari gli allevatori di bestiame proprietari, come accadde con Running Fence, o le amministrazioni locali nel caso dell’italiana Floating Piers, la passerella sgargiante di tre chlometri e mezzo che ha permesso a un milione di visitatori di camminare sulle acque del Lago di Iseo, nel 2016, sotto l’egida di Germano Celant. Nei luoghi dove il Covid in questa primavera ha seminato morte e sconcerto, Christo aveva steso una strada di fatati galleggiamenti. Era tornato in Italia da solo, dopo quarant’anni dagli impacchettamenti delle Mura Aureliane e di Porta Pinciana (prima ancora c’era stata la torre medievale di Spoleto, imbozzolata nel ’68), ricordando le antiche «scappatelle» da Venezia a Padova per bearsi con «monsieur Giotto» alla Cappella degli Scrovegni. E a ottant’anni, era riuscito ancora una volta a disarmare tutti con la tenacia delle sue visioni, combattendo contro gli ostacoli e la paura di una tragedia dietro l’angolo (avrebbe retto la passerella alla pressione umana?).

Sourrounded Islands, baia di Miami

L’ACQUA ERA tra gli elementi che più aveva calamitato la sua attenzione, il suo intento era legare onde e terra, come nelle isole che circondava per creare «moderne ninfee». Ma Over the River, il progetto sul fiume Arkansas che doveva ricoprire cinquanta chilometri di percorso, non è andato mai in porto.
Christo e Jeanne Claude, questa coppia prodigiosa dell’arte non prendeva mai lo stesso aereo, fedele al principio che, in caso, di sciagura, chi fosse rimasto avrebbe avuto il compito di realizzare i loro lavori. Ora che se ne sono andati entrambi, dallo studio fanno sapere che «resterà in piedi» L’Arc de Triomphe, Wrapped, a Parigi. D’altronde, nel concetto di effimero e di sparizione – sia del monumento che dell’intervento – c’era già incamerato il possibile fantasma di sé. Christo, quando arrivò giovanissimo a Parigi, aveva amato Fautrier e Dubuffet anche per la potenza della rarefazione e nascondimento/disvelamento della figura.
A Jeanne Claude, che ha viaggiato con lui in onirici paesaggi, Christo aveva dedicato una stella con tanto di coordinate per ritrovarla un giorno nel cielo. Ora la starà cercando, con la sua valigia zeppa di idee per far vincere «la bellezza, la scienza e l’arte».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCHEDA

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Quasi tutti i progetti ciclopici di Christo e Jeanne-Claude sono stati documentati attraverso dei film, che ne seguono ogni fase, da quelle più burocratiche fino alla realizzazione dell’opera, permettendo allo spettatore di entrare nel vivo di un processo unico e irripetibile. «Christo – Walking on water» è il film del bulgaro Andrey Paounov che racconta, nei dettagli, tutte le operazioni che hanno portato a «The Floating Piers», la gigantesca passerella basculante, color del sole, che ha permesso a un milione di persone di camminare letteralmente sulle acque del lago di Iseo (giugno 2016). Nel film, è per la prima volta da solo (sua moglie è morta nel 2009), pedina la costruzione della sua utopia. Il regista riprende il «work in progress» sfibrante, non solo dell’opera ma anche emozionale: il vento strappa via la stoffa, manda all’aria giorni di lavoro, le autorità sono incerte sui permessi da accordare, Christo si infuria. Poi, si rasserena. Lo vediamo, infine, saltellare come un folletto, senza le scarpe sulla pedana sospesa nell’acqua , lasciandosi andare allo stupore.