As Safir non chiude, almeno per ora. Il fondatore, direttore ed editore Talal Salman è stato convinto dai suoi giornalisti, amici e sostenitori a ritornare sulla decisione annunciata nei giorni scorsi. Ma la fine del giornale libanese, il più prestigioso della sinistra araba, è solo rinviata. Salman ha ammesso con sconforto che la situazione non è destinata a migliorare – «la produzione (del quotidiano) costa troppo e i ricavi sono insufficienti», ha spiegato – e le pubblicazioni potrebbero cessare definitivamente nel giro di qualche settimana. «Non ci sarà alcun licenziamento per salvare il giornale. Si rimane tutti qui o si va tutti a casa», ha assicurato il direttore rivolgendosi ai 150 dipendenti. Come di recente il britannico Independent e negli anni passati altri giornali prestigiosi costretti a cessare la pubblicazione cartacea, anche as Safir sembra destinato a rimanere in vita solo in edizione digitale. Uno sbocco che attenderebbe un altro storico quotidiano di Beirut, il centrista an Nahar (fondato nel 1933), in forte crisi finanziaria e che non verserebbe lo stipendio ai dipendenti da sette mesi. Non se la passano meglio altri giornali libanesi, incluso al Mustaqbal, il megafono dell’ex premier sunnita Saad Hariri che pure è a capo di un impero economico e ha alle spalle l’Arabia saudita. Il Libano dove la stampa è la più libera del mondo arabo e dove non pochi giornalisti hanno pagato con la vita per il loro lavoro, rischia di perdere pubblicazioni che hanno ospitato alcune delle penne più illustri dell’intera regione.

Quando apparve nel 1974, sull’onda della guerra arabo israeliana dell’anno prima, as Safir (L’Ambasciatore) aveva un motto: «La voce di quelli che non hanno voce». Si affermò subito come un giornale della sinistra vicino all’Olp di Yasser Arafat (la causa palestinese per 40 anni è stata uno dei suoi pilastri). Le sue pagine hanno ospitato anche il celebre caricaturista palestinese Naji al Ali (il creatore del bambino Handala) assassinato nel 1987 a Londra. Talal Salman sfuggito a due attentati negli anni Ottanta, invitò scrivere per as Safir intellettuali, scrittori, editorialisti brillanti di tutto il mondo arabo. La fama del quotidiano raggiunse anche l’Europa. Per la sua redazione sono passati giornalisti libanesi e arabi poi divenuti famosi. Mai un giornale in Medio Oriente ha saputo rappresentare così bene la sinistra araba come ha fatto as Safir. Il suo nome resta legato anche alla decisione presa nel 1982, durante l’occupazione israeliana di Beirut e del Libano del sud, di proseguire le pubblicazioni, nonostante i combattimenti e i pericoli, mentre gli altri giornali avevano scelto la chiusura.

In passato il quotidiano di Talal Salman, avrebbe ricevuto, così si dice a Beirut, finanziamenti da più parti, dall’Olp all’Iraq baathista, dalla Libia di Gheddafi alla Siria di Hafez Assad. Che però, poco alla volta, sono cessati, fino ad interrompersi completamente in seguito alle guerre e agli stravolgimenti politici e sociali avvenuti in Medio Oriente negli ultimi 15-20 anni. Fondi mancanti che il giornale non è riuscito a compensare riorganizzandosi e puntando con forza sulle vendite e la pubblicità. Il colpo più duro è però venuto dalla nascita, dieci anni, fa in mezzo all’invasione israeliana del Libano, del quotidiano al Akhbar, progressista e vicino al movimento sciita Hezbollah. Fondato dal famoso Joseph Samaha e da Ibrahim al Amin, entrambi ex di as Safir, il nuovo quotidiano ha assorbito i finanziamenti di Hezbollah e conquistato una fetta decisiva del mercato dell’editoria di sinistra in Libano. In questi ultimi anni altre firme del quotidiano di Talas Salman sono passate ad al Akbar e ad altri giornali.

Salman è alla disperata ricerca di sostegni finanziari e di possibili partner, ma non ha ancora trovato nessuno disposto ad investire in as Safir. «Il giornalismo non è più attraente per gli investitori, tutto il giornalismo libanese, che è stato un esempio per l’informazione in questa regione, non ha un futuro», spiega con rammarico il direttore. Persino la guerra civile siriana che da tempo bussa pericolosamente alle porte e la crisi politica che da oltre dieci anni spacca in due il Libano, non sono servite ad aumentare il numero totale dei lettori della carta stampata. Anzi, continua a diminuire. I libanesi più giovani, come nel resto del mondo, si informano con smartphone e tablet e non comprano i giornali. La crisi affonda non solo as Safir ma anche la stampa conservatrice che fa i conti con i tagli dei finanziamenti decisi di recente dall’Arabia saudita, alle prese con le conseguenze del netto calo del prezzo del petrolio e che non è più disposta a sponsorizzare generosamente alleati libanesi incapaci di prendere il sopravvento su Hezbollah e le altre forze vicine a Iran e Siria.