Forse non tutti sanno cos’è il «black box effect»: nel campo dell’intelligenza artificiale, si usa quest’espressione quando sono visibili gli input e gli output, ma non i meccanismi di funzionamento interni. È con questa immagine che la collettività di artisti, artiste, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo hanno dato il via all’assemblea con il sindaco Gualtieri ieri, in Campidoglio a Roma. La Sala Nicoletta Calcagni è gremita e in molti rimangono fuori, c’è fibrillazione per questo incontro che arriva dopo settimane di mobilitazione.

Il «black box effect» riguarda in questo caso la nomina di Luca De Fusco a direttore generale del Teatro di Roma. Nomina che viene definita «inaccettabile» dall’assemblea, che ha tentato di inchiodare Gualtieri e l’assessore alla Cultura Gotor alle loro responsabilità. «Dove eravate mentre è stato scritto lo statuto della Fondazione Teatro di Roma?» è la domanda che riecheggia nella sala. E poi la ferita più recente: la polizia in assetto antisommossa fuori dal Teatro Argentina e del Teatro India quando artisti e artiste manifestavano o solamente volantinavano per dire la loro sulla gestione del teatro. «Se non assecondare una logica fascista e mafiosa come quella che vuole De Fusco direttore significa essere dei facinorosi, allora lo siamo» è la provocazione lanciata al sindaco: come se avere un’opinione in merito all’indirizzo culturale di un teatro fosse una mera faccenda di ordine pubblico.

D’ALTRONDE la questione della direzione del teatro stabile romano ne porta con sé molte altre. «Vogliamo bene a questa città, forse siamo gli unici, ma non riusciamo a lavorarci dignitosamente» affermano gli artisti. Il rifiuto del possibile «nuovo corso» del Teatro di Roma è infatti legato a una generale precarietà, al sotto-finanziamento delle proposte artistiche e dei festival, delle realtà sociali sempre più ridotte al lumicino, che sono «la linfa vitale della città». Viene evocata la delibera 104 sull’utilizzo degli spazi sociali nel Comune di Roma, rimasta quasi lettera morta da oltre un anno. Tuttavia non ci sono stati problemi per trovare le risorse per il Cinema America: una delibera ad hoc firmata da Gotor ha finanziato per via diretta, ovvero senza bando, la kermesse estiva del Cinema in Piazza con ben 250.000 mila euro, e con grande anticipo. Una mossa che ha fatto sobbalzare le realtà sociali, tra cui l’Arci, che in una lunga lettera ha spiegato le ragioni del risentimento: «Con che spirito gli altri operatori culturali devono quest’anno entrare nel ginepraio dei bandi comunali e municipali della prossima estate e delle successive? Decine di manifestazioni senza certezza sui tempi di assegnazione e con briciole di finanziamento come possono concorrere e divenire “rilevanti” per accedere a fondi e assegnazioni dirette, con una tale disparità di trattamento?».

TRA LA POLITICA culturale di palazzo e le realtà indipendenti, che pure spesso hanno una vivacità artistica e di visione ben più stimolante e orientata al futuro, sembra esserci dunque una distanza troppo grande, anche in termini di risorse. Una situazione di cui forse si rende conto anche il sindaco che ieri ha dedicato quasi due ore all’incontro con la collettività artistica e lavoratrice. In merito alla situazione specifica del Teatro di Roma, Gualtieri rivendica come «miglior compromesso possibile» l’accordo sullo «sdoppiamento» della carica di direttore – che per diventare realtà dovrà ora essere sottoposto ai diversi passaggi che porteranno alla modifica dello statuto della fondazione. La possibilità di sciogliere quest’ultima, l’opzione «radicale» per cui Argentina, India, Torlonia verrebbero gestiti solamente dal Comune – abdicando così alla funzione di teatro nazionale – è ancora sul tavolo, ma realisticamente ha poche probabilità di essere perseguita. Afferma poi di voler incontrare in maniera più strutturata la comunità artistica, di volerne ascoltare la voce per «vivacizzare» la scena culturale della città. E qui siamo nel campo delle promesse, tutte da verificare nell’immediato futuro.