C’è una novità quest’anno al Summer Jazz Festival di Roma, gestito da Musica per Roma tra la Casa del Jazz e la Cavea dell’Auditorium. Vai al Parco della Musica, per esempio al concerto di Chick Corea col trio denominato Akoustic Band, e trovi all’entrata un controllo poliziesco degno di Alcatraz. Tutti in lunghe file (meglio arrivare un’ora prima), sbarramenti, perquisizioni corporali, metaldetector e così via. Speri di trovare il senso della libertà nella musica, l’hanno anche scritto Federico Chicchi e Anna Simone in La società della prestazione (Ediesse, 2017) che la salvezza è nelle arti (tra poche altre cose). Speri. Ma non è la volta buona. Non del tutto. Anche il celebre pianista Chick Corea presenta una novità: il ritorno al trio acustico che non si esibiva dal 1989, con John Patitucci al contrabbasso e Dave Weckl alla batteria.

Quanto alla musica che fa, Corea è per la gran parte la conferma della disciplinarità, dello stare nei ranghi. Comincia con un brano simil-latin, prosegue con un brano simil-japan. La prima cosa che lo preoccupa è fare il piacione. Scale e scalette easy per avvolgere i temi, improvvisazione-variazione trattenuta in poche frasi mai estesa con respiro e fantasia. L’intrattenimento da night è così ostentato da tramutarsi nel suo contrario: il fastidio. Tutto dev’essere all’«acqua di rose». Siamo in piena costrizione, nel regno dell’obbligo. Ma che bisogno c’è? Il pubblico abbocca fino a un certo punto. Applausi di convenienza.

Vien quasi da rimpiangere il Corea «commerciale» ma vivace di Return to Forever, definito fusion ma lui dice oggi che lo definirebbe orchestral hard jazz-rock (v. intervista di Enzo Boddi su Musica Jazz di luglio). Rimpiangere un Corea di tutt’altra specie è ovvio. Quello che con Anthony Braxton sperimentava oltre il free col quartetto Circle intorno al 1970, quello che dialogava fervidamente al piano elettrico con Miles Davis alla fine dei ‘60, quello ardimentoso di Trio Music del 1981 per Ecm, quello elegante ed essenziale di Children’s Songs del 1983 ancora per Ecm. Adesso Corea è un’altra storia. Ha 77 anni un fisico da figurino e un’aria da ragazzo. I suoi partner hanno 59 anni (Patitucci) e 58 (Weckl) e sembrano più vecchi di lui. Eppure, musicalmente parlando, diciamo che è regredito. Ma qualche chances se la gioca qui alla Cavea. Il pubblico in fondo è venuto per sentire del buon jazz, naturalmente mainstream ma buon jazz.

In a sentimental mood di Ellington lo infiocchetta come un pacco natalizio con scalette e ottave e armonizzazioni da primi anni di conservatorio, ma poi Corea si concede un’escursione in assolo un po’ più ampia, seppur decorativa. Su una traccia di tipo bop, finalmente, si lascia andare in una impro «astratta» e autonomamente inventata, azzarda qualche dissonanza e persino un passaggio «informale» (con juicio). Su una melodia di Scarlatti esce in assolo con grazie e levità. Sarà un caso ma gli applausi sono molto più forti.