Avrei dovuto incontrare Chiara Frugoni pochi giorni fa a Genova, durante la manifestazione «La Storia in Piazza». Era attesa per parlare di donne medievali, ma poi aveva comunicato agli organizzatori di non sentirsi abbastanza bene da poter viaggiare, e aveva mandato un video di poco più di mezz’ora. Su richiesta degli organizzatori, un po’ preoccupati per la sua assenza, l’avevo introdotto in una sala gremita nonostante si sapesse che lei non ci sarebbe stata, e il pubblico aveva seguito attento il racconto di Chiara, alternato ad alcune immagini, da sempre il perno centrale dei suoi studi.

Un grande successo, tanti applausi e parole di apprezzamento, al punto che avevo pensato di mandarle una mail per complimentarmi e soprattutto per raccontarle il pomeriggio. Poi non avevo trovato l’indirizzo, poi la necessità di ripartire, gli impegni, la solita dannata fretta, e la mail non è stata spedita, con l’idea che tanto ci sarà occasione. Nel pomeriggio del 10 aprile, apprendendo la notizia della sua scomparsa, il primo pensiero è stato proprio quello dell’occasione mancata che non si ripeterà.

NON CHE CHIARA FRUGONI avesse bisogno di conferme. La sua fama è cresciuta negli anni grazie alla rara capacità di intrecciare fonti scritte e iconiche e costruirsi così una carriera inedita, accompagnata dalla pubblicazione di tante belle monografie. Francesco e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto (Einaudi 1993), Premio Viareggio per la saggistica del 1994, resta celebre e controverso per la proposta interpretativa; su Francesco era tornata molte volte: già l’anno successivo con Vita di un uomo: Francesco d’Assisi (Einaudi 1995, con introduzione di Jacques Le Goff) e poi a distanza di oltre vent’anni con Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore di Assisi (Einaudi 2015), un libro al quale teneva molto perché metteva a frutto tanti anni di osservazione dei particolari iconografici e che le aveva consentito scoperte importanti.
Si era formata tra Roma (sia all’università sia presso l’Istituto storico italiano per il Medio Evo) e Pisa, ed aveva insegnato in entrambe le città dagli anni Settanta fino al 2000. Sul difficile rapporto con suo padre, lo storico medievista Arsenio Frugoni, evidentemente anche molto ammirato, si era aperta negli ultimi anni, anche grazie alla scrittura di memorie: consigliatissimo almeno il suo Da stelle a stelle. Memorie di un paese contadino (Laterza 2003).

Ha scritto su tanti argomenti diversi, con particolare riguardo alla storia culturale e delle idee, sempre tendo al centro il filo rosso del dialogo fra testo e immagine, un campo nel quale, soprattutto in Italia, ma non solo, ha fatto scuola.

L’IMPEGNO FEMMINISTA, non militante ma saldo e convinto, in parte certamente frutto delle esperienze personali, si era fatto largo in alcuni scritti, fra i quali Una solitudine abitata. Chiara d’Assisi (Laterza 2007) nel quale scriveva: «Tutta la vita di Chiara fu segnata dall’incontro con Francesco. Tuttavia Chiara non visse all’ombra e dell’ombra di Francesco, come mi è capitato di leggere». Ecco, certamente vivere nell’ombra di altri (padri, mariti) non era per lei.

Il suo ultimo libro, quel Donne medievali. Sole, indomite, avventurose (Il Mulino 2021) che presentava a Genova, contiene una galleria di figure femminili diverse tra loro come Radegonda di Poitiers, Christine de Pizan, la leggendaria papessa Giovanna, Matilde di Canossa, Margherita Datini.

«Tutte hanno scontato con la solitudine il coraggio e la determinazione con cui hanno ricercato la piena realizzazione di sé», recita la presentazione; e sembra che Chiara Frugoni un po’ ci si riconoscesse, in queste donne alle quali la società patriarcale sembra aver fatto scontare l’indipendenza, ma che comunque sono arrivate a realizzarsi. Come concludeva nel video inviato alla «Storia in Piazza», alle donne è richiesto il doppio del lavoro di un uomo per essere considerate sue pari: ma per loro è comunque facile. Aveva strappato molte risate, quella frase era pronunciata con un sorrisetto ironico davvero molto «suo», che faceva sparire i segni della malattia. Ed è così che mi piace ricordarla.