Un disavanzo pubblico che schizzerebbe fino al 3,5% del Pil nel 2020 (2,5% nel 2019), oltre la soglia fissata dal Trattato di Maastricht. Complici le recenti scelte di politica economica e finanziaria del governo ed una crescita che nell’anno in corso non andrà al di là dello 0,1%. Ultimi in classifica, ma stavolta in compagnia della Germania, che si fermerebbe ad un misero 0,5%. È dunque quanto prevede la Commissione Europea per l’Italia. Una doccia fredda, che rischia di frustrare le aspettative di governo e operatori economici, dopo un primo trimestre che aveva acceso qualche speranza sulla capacità di ripresa (+0,2% sul trimestre precedente). A giudizio della Commissione, infatti, il dato congiunturale del periodo gennaio-marzo 2019 potrebbe essere soltanto il prodotto di un momentaneo «rimbalzo» dell’export e della ricostituzione da parte delle aziende delle proprie scorte di magazzino.

Niente di solido, insomma. Un ritorno alla realtà. Quella realtà che il governo, dopo le improbabili stime sulla crescita della «manovra del popolo» (+1% nel 2019), si era comunque deciso a fotografare nel Documento di Economia e Finanza (Def), arrendendosi ad un più che modesto, ma plausibile, 0,2%. Nondimeno, se le previsioni sulla crescita del governo sono finite quasi per coincidere con quelle di tutti gli organismi e le istituzioni nazionali ed internazionali, compresa la Commissione Europea, la stessa cosa non si può dire per gli obiettivi di finanza pubblica. Con gli stessi livelli di crescita, infatti, il governo ha stimato una discesa del disavanzo al 2,1% nel 2020 (dal 2,4% di quest’anno), mentre la Commissione, al netto delle clausole di salvaguardia, lo stima al 3,5% (dal 2,5% di quest’anno). Stesso discorso per il debito: 131,3% sul Pil per il governo, 135,2% per Bruxelles, sfondamento della soglia dei 2400 miliardi già a partire dai prossimi mesi. Già, le clausole di salvaguardia. Il governo si è impegnato a disinnescarle, ma senza un taglio alla spesa – o un aumento delle tasse – di valore equivalente, i conti andrebbero pericolosamente fuori binario. E non è finita qui. Nel Def il governo stima che per effetto delle principali misure adottate in sede di bilancio (reddito di cittadinanza e quota cento) la spesa pubblica aumenterà nel triennio 2019-2021 di 133 miliardi di euro. Di contro, si stimano per lo stesso periodo minori entrate per circa 47,5 miliardi, come conseguenza della «sterilizzazione delle clausole sull’aliquota Iva e sulle accise» per il 2019 e dell’adozione del regime forfettario per professionisti, artigiani ed esercenti (aliquota al 15% per fatturato fino a 65 mila euro, la mini flat tax). 133 più 47,5 fanno 180,5 miliardi di euro. Una cifra monstre, che nello stesso Def il governo si impegna a coprire, parzialmente, con «circa» 16,6 miliardi di minori spese e con maggiori entrate per «circa» 50,8 miliardi, derivanti, in larga parte, dalle «disposizioni della Legge di Bilancio relative agli aumenti delle aliquote IVA e delle accise (dal 2020)». Proprio quelle disposizioni che, in coro, il governo ha dichiarato di voler «sterilizzare».

Conti che non tornano, guai in vista per il governo. Nel Def di aprile, nonostante le vistose incongruenze, l’esecutivo gialloverde si è impegnato con Bruxelles a migliorare i conti pubblici nel prossimo triennio, offrendo anche, a titolo di garanzia, alcuni preziosi pegni. Ma la sola riduzione del deficit strutturale (-0,6% sul Pil), calcolato al netto degli effetti del ciclo economico, come se l’economia girasse al massimo del suo potenziale, vale 30 miliardi. 30 miliardi oltre quelli che bisognerà trovare per evitare il salasso dell’Iva. Che poi sempre di salasso si tratta, ancorché operato sulle prestazioni del welfare.

Il Paese è ad un bivio. Nei prossimi mesi bisognerà decidere se il conto dovranno pagarlo ancora i ceti popolari (Iva sui consumi e tagli alla spesa sociale, mentre ai ricchi si continuano a tagliare le tasse), oppure quelli che proprio grazie alla gestione della crisi hanno accumulato in questi anni favolose ricchezze.

*Candidato alle elezioni europee per la lista La Sinistra