Chi è Charlie? A quasi quattro mesi dalla grande manifestazione dell’11 gennaio, tra Je suis Charlie, Je ne suis pas Charlie, Je suis Charlie, mais…, lo scontro sta diventando radicale. E’ un dibattito tra intellettuali, che non è più confronto di idee, ma scade in fretta nell’insulto reciproco, dove il “punto G” (la legge di Godwin, che riduce le argomentazioni dell’avversario ad apologia del nazismo) viene raggiunto in fretta. In un paese ossessionato dalla questione dell’identità, che sta attraversando una fase di dubbio profondo, l’interpretazione del senso della manifestazione dell’11 gennaio sta diventando un rivelatore di una spaccatura che attraversa destra e sinistra, in particolare quest’ultima, dove confluiscono, confusamente, le vecchie divisioni sull’Europa, sull’euro, sull’universalismo, sull’interpretazione dell’Illuminismo, sulle relazioni con la classe operaia ecc.

L’ultimo episodio di questa saga è il libro del sociologo Emmanuel Todd, che sarà in libreria il 7 maggio, Qui est Charlie? (Seuil). Todd, in un’intervista a Libération, definisce la manifestazione dell’11 gennaio “un flash totalitario”, “un’impostura”. I singoli erano, forse, in buona fede, afferma il sociologo, ma collettivamente avrebbero espresso “una xenofobia oggettiva” contro i musulmani: classi medie bianche sovra-rappresentate, assenza delle classi popolari di origine immigrata, rappresentanti di un “cattolicesimo zombie” (ma anche i protestanti sono “zombie” per Todd), sarebbero espressione di un determinismo sociologico che porta al rifiuto della religione di una minoranza a nome di una maggioranza dominante, geograficamente collocata nelle zone dove nel passato avevano trionfato Vichy, la tradizione cattolica, gli antidreyfusardi (e anche il “si” alla Costituzione europea nel 2005). “Mi chiedo quale inconscio convochi Todd quando analizza la folla dell’11 gennaio senza passare dall’interpretazione della parola dei manifestanti” gli risponde la psicoanalista Julia Kristeva. Per Laurent Joffrin, direttore di Libération, l’analisi di Todd dimentica che la manifestazione era in difesa della libertà di espressione, qualunque essa sia, “tutti erano d’accordo per dire che si ha il diritto di non essere d’accordo”. Il geografo Jacques Lévy critica il “paternalismo” di Todd, che nega ai cittadini di religione musulmana, che erano ben presenti alla manifestazione, la libertà di non essere ridotti alla loro appartenenza religiosa, ai poveri il “diritto di agire in nome di valori”. Mercoledi’ esce un libro di Slovoj Zizek su questo tema, Quelques réflexions blasphématoires (ed. Jacqueline Chambon), dove il filosofo afferma che “bisogna avere il coraggio di pensare”, dopo lo choc degli attentati, per andare oltre “il pathos della solidarietà universale”.

Già subito dopo gli attentati c’erano stati rifiuti a partecipare alla reazione cittadina. A cominciare da Jean-Marie Le Pen, che aveva risposto allo slogan Je suis Charlie, con un gioco di parole razzista, Je suis Charles Martel (oltre ad attribuire gli attentati a un “complotto” dei servizi segreti) o di Dieudonné, con un altro gioco di parole, Je suis Charlie Coulibaly (dal nome del terrorista dell’Hyper Cacher). I religiosi avevano preso le distanze dalla difesa di Charlie Hebdo (il Consiglio francese del culto musulmano, l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia, il papa Francesco, secondo il quale “se un grande amico parla male di mia madre, puo’ aspettarsi un pugno”). Riserve anche tra i disegnatori, come Plantu, secondo il quale bisogna stare attenti a cosa si disegna, “per non fare amalgami”. Il filosofo Alain Badiou aveva ignorato deliberatamente il riferimento all’islam nelle motivazioni dei terroristi, mentre Edgar Morin aveva parlato di “apprendisti stregoni” per la copertina di Charlie Hebdo dopo gli attentati (dove compariva di nuovo il profeta). Al punto che Luz, disegnatore di Charlie Hebdo, afferma ora di “non voler più disegnare Maometto”.