Ultimo giorno di Lucca Comics&Games. È domenica e i padiglioni, non sono ancora le 9, ma nonostante i padiglioni siano ancora chiusi, le file fuori sono già lunghissime. Mentre inizia ad abbattersi il temporale tanto atteso, entro nel padiglione Napoleone, che ospita i grandi editori.

Allo stand Rizzoli Lizard ho appuntamento con la storia del fumetto. Enrique Breccia è, come i grandissimi, un uomo umile e amabile, molto accessibile e franco. Parliamo in spagnolo, nonostante lui da anni abiti in Italia: ho la sensazione che la sua lingua madre lo avvicini agli avvenimenti di 50 anni fa, quando a pochi mesi dalluccisione di Ernesto Guevara, la storia a fumetti CHE, usciva nelledizione di Jorge Álvarez, dalle mani di Alberto e Enrique Breccia, su sceneggiatura di Hector Oesterheld.

Dopo lunica edizione argentina, poi messa al bando dalla dittatura di Onganía, il libro riappare in Spagna nel 1987; in Italia il libro arriva nel 1995, grazie alleditore Jorge Vacca di Topolin Edizioni, anche lui vittima di censura.

Rizzoli nel 2007 recupera il libro nella traduzione di Jorge Vacca, e oggi, dopo 50 anni dalla morte del guerrigliero argentino, lo rilancia in unedizione curata da Boris Battaglia (traduzione e postfazione). Enrique Breccia sarà impegnato nella promozione del libro anche al BilBolBul di Bologna, con la presentazione di sabato 25 (ore 18:30) da Modo Infoshop e con lincontro Ritratto d’autore (domenica 26 ore 16:30).

Che è un libro universo: lo è stato nella sua produzione, nella sua pubblicazione e nel suo rocambolesco recupero. Cè però un senso di urgenza inderogabile che accomuna queste fasi. È daccordo?

Sì, immaginati che il libro si pubblicò esattamente 3 mesi dopo la morte del Che; in pratica immediatamente. Iniziammo a disegnare una settimana dopo la sua morte.

Quanto questurgenza fu dettata dalla proposta di collana di Jorge Álvarez, Biografías?

Leditore aveva in mente questa collana di 12 titoli che avrebbe compreso le biografie appunto di Tupac Amaru, Sandino, Bolivarpersonaggi chiave della storia politica sudamericana. Alla morte del Che venne deciso che il primo titolo della collana sarebbe stato dedicato a lui.

Un libro lampo, quindi.

Assolutamente, un lavoro scandito da tempi quasi giornalistici, da reportage.

Cè un equilibrio affascinante tra lurgenza della produzione e lurgenza che ha sempre accompagnato sempre il Che nelle sue azioni. Una spinta che non scompare, neanche quando il suo sacrificio, diventa cosciente, come suggerisce il prologo da lei scritto e incluso nella presente edizione. Lavoraste al soggetto con questidea in mente?

Stavo lavorando alla cronaca di una disfatta. Questa era la mia convinzione. Mio padre non condivideva questo punto di vista perché non era politicamente attivo, per questo motivo Hector Oesterheld decise di assegnare a me la parte del diario (Diaro del Che en Bolivia) e a mio padre la parte più documentaristica, che ha un disegno più tradizionale.

La parte disegnata da tuo padre, Alberto Breccia, è basata su materiale fotografico?

In realtà mio padre si documentò sulla base di un unico esemplare del giornale Granma (lorgano ufficiale di stampa del PCC). Servì a lui, perché io dovevo lavorare sulla parte della selva boliviana, e non cerano sicuramente immagini e inoltre io riuscì a leggere i Diari solo 3 o 4 anni dopo.

Quindi lo sceneggiatore Héctor Oesterheld fu anche direttore artistico, in un certo senso?

Sì, gli chiesi di scrivere due sceneggiature separate e quindi mi concentrai sulla mia parte. Con mio padre lavorammo in modo completamente separato affinché non ci fossero contaminazioni nello stile, o nei pensieri.

Quindi nonostante la sua giovane età (22 anni) e il fatto che questo fosse il suo primo lavoro a fumetti, disegnò le sue tavole in modo autonomo?

Certo, non vedevo cosa stesse facendo mio padre! Non avevo idea di cosa e come stesse disegnando, non lessi nemmeno la sceneggiatura della sua parte, così come lui non lesse quella della mia. Effettivamente fu come lavorare a due libri diversi. Dopo leditore lo impaginò a sua discrezione, mescolando le tavole. Si vede molto bene la differenza di stile quando si passa da una tavola mia a una di mio padre e viceversa.

Il suo stile è molto più essenziale ed estremo.

In quel momento mi dedicavo alla xilografia, incisione su legno, e sì, è come se avessi disegnato direttamente con la punta del coltello e non con un pennino.

In cosa differiscono ledizione argentina di Che, quella spagnola del 1987 e questa attuale italiana? Le tavole in rosso sono sempre state presenti?

In effetti, no. Non cera colore prima, il libro nasce in bianco e nero. In questa edizione le tavole in bicromia rosso nero ospitano il mio prologo e la postfazione di Boris Battaglia, che ha tradotto il volume.

Il suo stile è stato definito espressionista: penso ai soldati dellesercito boliviano, che sono vere maschere. È un lavoro completamente diverso dai suoi fumetti successivi.

Il Che è stato il mio primo fumetto. Ero completamente vergine e non avevo influenze. Non ero, né sono un grande lettore di fumetto, in realtà. Lavorai in totale libertà, disegnando una tavola al giorno. Credo che nel libro si percepisca che mentre nella storia ci si avvicina alla fine del Che, il disegno diventa sempre più espressionista, più brutale, violento. Il senso era quello di riscrivere il diario del Che solo graficamente, raccontare per immagini la sua storia, senza che ci fosse bisogno delle parole.

Ci parli della storia rocambolesca del vostro libro, che è riuscito a sopravvivere alla repressione delle dittature argentine

Sì, la leggenda della copia sotterrata in giardino è una storia inventata da mio padre, una versione molto romantica che alla gente piace molto. Non ricordo quante copie ne vennero stampate, ma il libro andò a ruba. Anni dopo lesercito sequestrò tutto il materiale delledizione, e bruciò tutte le tavole meno una, evidentemente, che andò a pare fosse incorniciata e appesa nella sala da pranzo dellallora ministro dellInterno della dittatura militare, Guillermo Borda. Paradossalmente si tratta di una tavola decisiva, quella in cui il Che dice al suo giustiziere di sparare. Certe cose surrealiste possono succedere solo in Argentina.

Il Che è un libro con una storia molto intensa, che non può che ricordarci il terribile momento politico che viveva il suo paese in quegli anni, pagato dai molti che vi si opponevano con la vita stessa, come nel caso dello sceneggiatore Oesterheld. Che effetto le produce vedere il libro oggi, 50 anni dopo la sua nascita e con la coscienza di quello che è successo dopo?

Effettivamente Héctor Oesterheld scomparve10 anni dopo, andando ad aggiungersi alla lista dei desaparecidos. Un fatto molto triste. Per il resto mi sorprende che il libro si continui a pubblicare. Poche ore fa mi è arrivata una mail di un editore greco che mi chiede permesso per pubblicarlo.

Credo che il mio lavoro, senza nessun tipo di falsa modestia né presunzione, sia ancora molto moderno e attuale. Si è trasformato in un cult, anche se io avrei problemi a descriverti che cosè un libro di culto ovviamente fu merito del Che, e solo in parte del libro!